Ritorna al Senato, dopo l’approvazione della Camera nell’estate del 2002 – dopo vent’anni circa di discussioni –: ritorna la legge sulla fecondazione assistita (o artificiale). E il confronto si fa subito vivace, se non proprio rovente. Di solito, almeno per la fecondazione eterologa, si segnala come criterio di schieramento l’essere credenti o l’essere laici: i cattolici sarebbero per una restrizione che appare soverchia; i laici si fanno banditori di una libertà quasi senza limiti: e ciò in difesa della vita, salvo poi a riflettere circa il tipo di difesa e circa il tipo di vita che si vuol proteggere.

Si vorrebbero qui richiamare soltanto alcuni interrogativi che possano indurre a meditare con serietà un problema che tocca, almeno presumibilmente, la stessa persona nel suo esistere e nel suo agire. Ragionando, si potrebbe anche scoprire che la fede, lungi dall’essere ostacolo o motivo di contrapposizione nei confronti dell’intelligenza umana: la fede salva la ragione e distoglie da vedute ideologiche che manderebbero a gambe all’aria il buon senso: e si sarebbe allo stupore di chi constata che la rivelazione divina sana e promuove la capacità di conoscere e valutare umanamente. Al riguardo, senza emettere  affermazioni di sapore quasi dogmatico, sembra utile porre qualche interrogativo. Non si assicura spesso che il dubbio è utile al raggiungimento della verità?

  1. Una paternità e una maternità raggiunte con “materiale genetico” – e si scusi il termine grossolano, ma ci sta bene - : con “materiale genetico” estraneo ai genitori, o almeno a uno dei genitori, possono ancora essere chiamate paternità e maternità di un determinato figlio? Strano: proprio in un periodo di conoscenza empirica e quasi di materialismo anche antropologico, ci si aggrappa a un tipo di fecondità che sembra del tutto spirituale: platonizzante, con tanti saluti alla concretezza anche fisica, corporea.
  2. A ben riflettere, la sterilità può davvero essere descritta come una malattia? Fosse così, chi rifiuta di generare dovrebbe essere visto in qualche modo come mutilato. E coloro che decidono di non diventare genitori, come dovrebbero essere considerati?
  3. Il figlio è da comprendere come un dono di un amore reciproco, o come un diritto pressoché assoluto? Ma in questo caso, egli non verrebbe ridotto a “cosa”, dimenticando la sua dignità di persona umana? Da rivivere è lo stupore di una vita che si rivela nella sua fragilità e nella potenza del suo divenire.
  4. E poi, si è davvero sicuri che una fecondazione eterologa riesca non si dice sempre, ma almeno in una proporzione che giustifichi il ricorso a essa?

Le soluzioni sostitutive sono numerose: a cominciare dall’adozione.

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