Chi, all'annuncio dell'esortazione apostolica "Ecclesia in Europa", si aspettava soltanto l'ennesimo tenace appello asciutto, perentorio e supplichevole del Papa perché nel Trattato costituzionale europeo che si sta votando fosse inserito il richiamo al cristianesimo, è rimasto felicemente stupito. Nel documento (130 pagine, 5 capitoli) che conclude il sinodo dei vescovi dell'ottobre del 1999, Giovanni Paolo II traccia ampiamente la situazione attuale dell'Europa e ne delinea il domani da costruire soprattutto da parte dei cristiani sotto il profilo religioso, morale e culturale. Il documento si svolge interamente alla luce della speranza. Ma di speranza sembra ne occorra molta, poiché ci si misura con un'impresa ardua e in un ambito per molti versi contaminato e scosso. Il Papa non rinuncia a richiamare, con qualche fatica, gli aspetti positivi dell'Europa quale si presenta oggi: la libertà religiosa conquistata all'Est, il concentrarsi della Chiesa sulla missione spirituale, il suo impegno di evangelizzazione, la presa di coscienza della responsabilità di tutti i battezzati, l'aumentata presenza della donna nella società eccetera. Ma si mostra assai poco entusiasta quando evidenzia quelli che giudica ostacoli all'Unione Europea: la diversità - addirittura l'estraneità e qualche opposizione - tra le nazioni che sono chiamate a formare l'Europa, una certa paura del futuro, una diffusa frantumazione dell'esistenza, l'affievolirsi della solidarietà, un'antropologia senza Dio e senza Cristo, per non parlare della disgregazione della famiglia, della denatalità, del diffuso fenomeno dell'aborto procurato anche farmacologicamente, della pratica della manipolazione genetica che si va ampliando eccetera.

       Più a fondo, il Papa scorge un continente largamente demotivato e profondamente depresso di fronte ai propri compiti: bisogna evangelizzare le culture, ma spesso ci si imbatte in popolazioni di vecchia tradizione di fede che quasi nulla sanno più del Cristianesimo e si trovano nella condizione di dover ricevere pressoché il primo annuncio evangelico. Con una aggravante: che molti, anche tra gli intellettuali, si illudono di conoscere ma di fatto ignorano il patrimonio di avvenimenti, di certezze, di valori e di norme ecclesiali che hanno appreso durante l'infanzia. Al punto che - afferma il Papa - "nel continente europeo non mancano certo i prestigiosi simboli della presenza cristiana, ma con l'affermarsi lento e progressivo del secolarismo, essi rischiano di diventare puro vestigio del passato". Musei, archivi, raccolte di opere d'arte che non si colgono più nella loro vivacità e bellezza per la mancanza di una adeguata sensibilità: un certo estetismo non è ancora mentalità e stile di vita. Praticanti magari, ma non credenti e senza memoria religiosa. Silenziosa apostasia.

       Va da sé che Giovanni Paolo II disegna un'Europa che sia unita non solo geograficamente, economicamente e politicamente, ma anche innanzituto sotto il profilo spirituale. In una perfetta laicità che non si corrompa in un "laicismo ideologico", dal momento che riconosce una legge morale universale. A questo scopo il Papa chiama alla responsabilità i cristiani - che non sono meno cittadini degli altri - e tutti gli uomini di buona volontà. E presenta il Signore Gesù risorto come causa, modello e fine dell'umanità rinnovata. Il cammino da percorrere è lungo e irto, come si vede. Ma nulla va lasciato di intentato: la speranza è più necessaria nelle tappe di difficoltà. Sta la enigmatica parola di Cristo: "Il figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?". E il Papa chiosa: "La troverà (la fede) su queste terre della nostra Europa di antica tradizione cristiana?". Dopodiché, specialmente nel capitolo sesto, Giovanni Paolo II torna a domandare l'inserimento del Cristianesimo nella bozza di Costituzione europea dal momento che non si ha Europa senza cristianesimo. O meglio: "Occorre qui ricordare lo spirito della Grecia antica e della romanità, gli apporti dei popoli celtici, germanici, slavi, ungaro-finnici della cultura ebraica e del mondo islamico". Ovviamente ponendo il cristianesimo come "elemento centrale e qualificante", capace di accogliere purificare e integrare i "molteplici contributi arrecati dagli svariati flussi etnico culturali che si sono succeduti nei secoli".

       Qui Giovanni Paolo II chiede un corretto rapporto con l'Islam, nella consapevolezza del "divario esistente tra la cultura europea, che ha radici cristiane, e il pensiero musulmano"; chiede anche la reciprocità dell'ospitalità anche nell'ambito religioso: "Si comprende la sorpresa e il sentimento di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare il loro culto, e che si vedono interdire l'esercizio del culto cristiano nei Paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione l'unica ammessa e promossa". Libertà religiosa. E se i costituenti europei vorranno accogliere l'invito papale faranno cosa giusta e logica. Altrimenti si tengono i loro puntigli; ma i cristiani non si ritraggono dai loro impegni. C'è una parola anche sull'immigrazione. Essa va vissuta con un senso di accoglienza e di ospitalità: le autorità pubbliche devono "esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione del bene comune. L'accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione degli abusi". Nessuna esortazione a vanvera.

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