Omelia nella Messa della Notte di Natale

Como, Cattedrale, 25 dicembre 1989

 

Perché, fratelli, stanotte, siamo presenti tanto numerosi? Che cosa, “Chi” ci ha chiamati?

Ci ha chiamati la “tradizione” che “esige” la Messa di mezzanotte a Natale, anche se si sta lontani dalla chiesa lungo tutto l’anno? Ma quale significato, quale valore ha, questa “tradizione”? Non èvoca immagini, valori, certezze che hanno fatto lieta l’infanzia e che ora, abbandonati o messi in ombra, suscitano una dolce e talvolta struggente nostalgia? Quale destino è seguito a quel rifiuto o a quel disinteresse per riti, per convinzioni, per valori morali? Non è seguito, spesso, un destino di mestizia e di rassegnazione, che quasi costringe a riprendere e a rinnovare una “tradizione” ancor persistente?

Che cosa, “Chi” ci ha chiamati stanotte?

Ci ha chiamati la soffusa poesia della famiglia, che ci vuole tutti riuniti in casa, a Natale, per riconoscerci, per ricordare date gioiose e meste, per scambiarci notizie, affetto, doni?

E che ne è, oggi, della famiglia, sguarnita di protezioni e di stimoli, spesso osteggiata o subita come una coercizione maledetta; o neanche più subita, ma semplicemente “registrata” come un dato irrilevante di cui si può anche fare a meno? E un simile atteggiamento non segna il calo — un calo allarmante — di bambini che sappiano infondere fiducia e suscitare speranza? non segna l’abbandono di anziani che si sentono dimenticati, inutili, non amati? non segna un soffocato ma attanagliante sentimento di estraneità, di sgomento, di sconcerto, di solitudine, in casa?

La famiglia è da riporre in onore. Per dare senso al nostro fervido operare. Per essere noi stessi in solida e grata unità.

Per continuare a trasmettere le certezze e i valori che hanno sostenuto e rallegrato la nostra esistenza. Perché crescano delle libertà che sappiano donarsi a Dio e ai fratelli anche in vocazioni desuete e indispensabili come il sacerdozio e la consacrazione a Dio.

Che cosa, “Chi” ci ha chiamati stanotte?

Ci ha chiamati un residuo di fede che ancora si ostina a scaldare, come la brace sotto la cenere di tanti affanni per il lavoro, per i soldi, per le spensieratezze che lasciano sbigottito e stanco il cuore e deluso 1’animo?

Non rinneghiamo questa attesa che dà compiutezza alla vita. Altre proposte ci hanno lasciati nelle nostre frustrazioni: proposte cangianti, pretenziose, allettanti e ora quasi estinte dentro l’armatura di un logoro e ostentato potere. La Chiesa, pur nella debolezza dei suoi uomini, pur coperta di colpe, di grettezze, di latitanze, di indifferenze in noi, suoi membri: la Chiesa ci ha annunciato una Verità che non cambia e ci porge con le sue mani tremanti il Signore Gesù che nasce e che si predispone a morire e a risorgere per liberarci dai nostri peccati e offrirci la vita umana di Dio.

Ritorniamo alla Chiesa. Ritorniamo alle certezze che spiegano e trasfigurano il dolore e la morte. Ritorniamo ai Sacramenti della Confessione e della Comunione, che rendono stranamente lieta 1’esistenza e sicura la speranza, pur tra le prove.

E non sia il ritorno di un giorno. In Cristo troviamo la soluzione dei nostri interrogativi e il superamento delle nostre ansie.

Non abbiamo paura del Signore Gesù. Accogliamolo col pensiero e con la vita. Costantemente, Crescentemente.

Ci ha chiamati Lui, stanotte.

Rendiamogli grazie. E sia Lui a porgerci gli auguri più rallegranti e più impegnativi. Lui, vicino come una vertigine e una carezza, con una gioia grande.

Con gli auguri anche del Vostro Vescovo che Vi vuol bene.

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