Omelia nella Messa della Notte di Natale

Como, Cattedrale, 25 dicembre 1993

 

1. Veniamo dalla notte. E questa non è soltanto un’immagine del deserto e dell’oppressione che ci disorientano e ci affaticano.

La notte può essere la società in cui viviamo, che sembra camminare a ritroso e va perdendo valori e soffoca germi di letizia anche se impone le pieghe del viso a modo di un sorriso coatto, di un’allegria imperata e fastidiosa, urtante, quasi fosse una condanna.

La notte è la fatica di vivere gli uni accanto agli altri — invidiosi, contrapposti, perfino indifferenti — nelle aule di scuola, nei lindi e desolanti uffici, negli spaziosi e assordanti capannoni dove lavoriamo. La notte può essere anche la solitudine tra le mura di casa.

La notte, ancor più a fondo, è il non senso che avvertiamo nella nostra vita; è il non saper più né ridere né piangere; è il vivere a casaccio un giorno dopo l’altro, tentando di rimuovere gli interrogativi che bussano dal fondo dell’animo: interrogativi che non muoiono mai e che pure non vogliamo prendere in considerazione.

Siamo il popolo che cammina nelle tenebre.

 

2. Ecco un bambino che ci costringe al coraggio di vivere e ci regala una speranza inattesa, anzi una vita nuova già presente che è un’esaltante sorpresa.

Questo bimbo che giace su una bracciata di sudicia paglia è una persona della celeste Trinità: è il Verbo di Dio che ci si offre nelle sembianze d’un neonato, ma nasconde il segno della sovranità ed è chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.

Questo bimbo è colui che, dopo la fatica umana, ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità per formarsi un popolo puro che gli appartenga: un regno che non avrà mai fine. Qui c’è già l’intera Redenzione che chiede di essere accolta.

 

3. Avremo paura di un Dio fatto uomo e bambino? avremo paura di questo sorriso di Dio divenuto visibile e fragilissimo?

Il fatto è che incontrare Cristo non significa soltanto iscriversi ai registri di Battesimo, portare un santino nel portafogli e dare qualche moneta a un povero quando 1’incontro ci trova disponibili.

L’esistenza intera è da cambiare. Ci sono tante persone — anche importanti — che non riconoscono la Parola di Dio in questo bimbo venuto al mondo a morire e risorgere per noi uomini e per la nostra salvezza.

Occorre inginocchiarci e curvare la testa. Occorre lasciarci amare aprendo il nostro cuore e facendogli posto, dal momento che l’hanno rifiutato all’albergo. Occorre pensare, dire i nostri peccati e accogliere il miracolo del perdono per avviare una conversione continua e sempre crescente.

I pastori: questi illetterati che vegliavan di notte il loro gregge hanno veduto il Figlio di Dio e hanno udito la gloria che sale a Dio nel più alto dei cieli, e la pace che discende in terra agli uomini che egli ama.

Allora cambierà l’intera esistenza e la notte brillerà come il giorno: su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.

E noi, povera gente errabonda ritroviamo la strada e sentiamo una mano che ci accompagna a una gioia che sorpassa ogni desiderio.

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