"Sì, nel Signore sono stato vostro!"

Intervista a Mons. Maggiolini

 

Eccellenza, le domande che Le rivolgo le sembreranno molto banali. Ma so che una delle sue qualità è proprio quella di andare subito al centro delle cose, senza troppi convenevoli. Comincio.mIl giorno del suo ingresso in diocesi di Como aveva detto: «Ora nel Signore sono vostro». Lo è stato per diciassette anni. Come le è sembrato… essere nostro?

Quella frase terminale del discorso di ingresso l’ho scritta e cancellata diverse volte. Mi sembrava un impegno solenne a cui non avrei potuto venir meno. Poi ho deciso di pronunciarla: “ Ora nel Signore sono vostro”. Quella fra setta che poteva sembrare una finale un po’ sgargiante per me era niente di meno che la lealtà con cui iniziavo il ministero episcopale a Como. Fatica e gioia grandissima. Ho avvertito di essere del popolo di Dio affidatomi dalla Chiesa con il lavoro svolto giorno dopo giorno: senza grandi parate. Ritengo che fin dall’inizio di questa conversazione io debba ammettere che non ho cercato la straordinarietà dei gesti e delle parole. Rispetto. Eleganza. Generosità. Ma riscatto e rinnovamento di ciò che appariva ormai logoro. Essere della gente per me ha significato impegnarmi a essere del Signore e voler bene alla Diocesi. Come, se non si è giocato a ingannarmi, la Diocesi ha voluto bene a me. Dico questo non per autocompiacimento, ma semplicemente per esprimere una gioia profonda dell’essere stato Vescovo di Como e di aver incontrato un popolo cristiano splendido. Con tutti i difetti del caso, certo; ma ne ho anche io. Posso aggiungere che non mi è costato proprio alcun sforzo nel nutrire affetto e nel dedicare lavoro e fatica per la Chiesa che mi è stata affidata. M’è sembrato che il Signore mi abbia collocato al mio posto come un muratore trova il posto per un mattone nella costruzione di una chiesa. Se mi avessero chiesto di scegliere una diocesi nella comunità cristiana, avrei scelto questa in cui ho lavorato. E non per baia dicevo a Giovanni Paolo II e a papa Benedetto che la mia era la diocesi più bella del mondo. Ingenuità? Lasciatemela questa ingenuità: è la caratteristica degli innamorati.

 

Sta elencando le nostre qualità, ma avrà trovato anche qualche difetto in questa nostra Chiesa di Como. Adesso può dirceli…

E’ come domandare a un moroso quali siano i difetti della morosa. Se ne vedesse, non la sposerebbe: cercherebbe altrove. Non nego che i astratto vi possano essere asperità, angolosità, seriosità, passione anche eccessiva per il lavoro e per il risparmio. Ma anche queste che possono apparire mende, per me sono doti. Semmai ho chiesto maggiore vivacità nelle iniziative. Sono rimasto felicemente sorpreso dalla costanza e dalla essenzialità con cui si vive l’esistenza cristiana nella Diocesi di Como. I difetti più ripetuti li enunciano soprattutto i diocesani. Nel Vescovo hanno sempre trovato – credo – il compiacimento e la spinta all’entusiasmo per la costruzione di una comunità cristiana non vagheggina o alla ricerca di ciò che è nuovo a tutti i costi. E poi, il nuovo invecchia subito e ci si accorge che le cose che valgono nella vita cristiana e umana sono davvero poche.

 

Una tradizione che Ella ha introdotto è quella del discorso alla città in occasione della solennità del Patrono. Ecco, come è stato il suo rapporto di Vescovo con la società civile in questi anni?

Né le autorità civili, né le autorità religiose sono uscite con gli occhi blu dal confronto di anni. Se c’era qualcosa da dire – anche di sgarbato -, lo si è detto con molta sincerità. Non sempre con eleganza, ma con sincerità sì: sta forse qui il segreto di una collaborazione fattiva e producente. Senza lasciarsi prendere dalla tentazione di fare il sindaco o il prefetto da parte del Vescovo e viceversa. A ciascuno il suo ruolo: con uno spirito di amicizia che è raro trovare nelle città italiane. Il discorso alla città ha sempre toccato argomenti di vita sociale e civile, ma non ha mai - mi illudo – rubato il posto a chi doveva comandare la città o la provincia. E poi, il punto prospettico da cui si sono osservate le cose della società civile è sempre stato la visione e la realtà del Signore Gesù con la protezione di Abbondio e dei nostri Santi. Del resto, se il Vescovo si sostituisce alle autorità civili, a che cosa serve? E poi, è capace di svolgere questo compito? Devo ringraziare i diocesani anche per avermi aiutato a essere me stesso in questo compito di guida della società.

 

Una diocesi lunga e larga quella di Como… e Sondrio. A proposito: Ella ha più volte usato questa denominazione, aggiungendo Sondrio a Como. Perché?

Forse, intimoriti come siamo di fronte a diocesi che sembrano megagalattiche, non ci accorgiamo che la nostra è una chiesa locale più ampia –non più popolosa- della stessa mitica Milano. 260 chilometri da Cittiglio ( Lago Maggiore) allo Stelvio. Una sorta di regno. Da servire e, non da dominare. Il Vescovo di Como passa giornate intere in macchina per raggiungere anche i paesi apparentemente più insignificanti, ma preziosissimi: e l’automobile diventa biblioteca, cappella, sala da musica, ufficio, luogo di meditazione. Ci si può anche lamentare di queste dimensioni australiane; basta prendere i viaggi come diversivo e come avvicinamento alla gioia di incontrare gente che aspetta e che vuol bene.

Quanto alla storia del legame tra Como e Sondrio, sono convinto che Sondrio formerebbe tre diocesi del Sud. Ma non ho mai preso in considerazione l’ipotesi di una separazione. Ne scapiterebbe la solidità e la vivacità della diocesina di Como e della diocesina di Sondrio, mentre Como, Sondrio, la zona di Varese e la zona del Mandellasco formano un tutt’uno difficile da coordinare, ma ancora a misura d’uomo e capace di esprimere una fede genuina e robusta. I preti della zona di Sondrio, poi non sono smaniosi di unirsi a Como: meglio avere i superiori lontani e poterli raggiungere quando ce n’è bisogno o se ne ha voglia.

 

Ci dica qualcosa dei preti… E aggiunga qualche parola anche circa i religiosi e le suore.

I nostri preti non sono dei dendy, degli abatini, dei figurini. Ciò non significa che non studino, non riflettano e non preghino. Vanno all’essenziale anche nell’attività pastorale. Sono giustamente convinti che a formare la gente cristianamente non sono i continui cambiamenti che vogliono esprimere originalità e genialità a tutti i costi. È il Signore con i suoi tempi lunghi a formare le persone. L’uva in Valtellina non matura in cinque giorni: se si vuole il vino buono, occorre pazienza, molto sole e i gradoni ben fatti. Si attende. Poi si raccoglie. Ciò sia detto senza dimenticare che la stessa Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale dà lavoro proporzionalmente a più preti comaschi che a quelli di altre diocesi. In qualche momento di svagatezza mi chiedo se non sia più giusto che la Facoltà Teologica abbia Como come sede. Non solo per il panorama, ma anche per l’intelligenza e la capacità di studio.

Per le suore devo manifestare soltanto il rincrescimento di vederle invecchiare senza troppe sostituzioni. Così si dica per i religiosi. Dal primo giorno di Episcopato a Como ho insistito sulla pastorale delle vocazioni sacerdotali e religiose. Si ha un bel dire che i laici bla bla bla: se manca la guida di preti saggi e santi; se manca l’esempio di suore che professano senza vergogna la loro appartenenza al Signore mettendosi al servizio dei poveri, una chiesa diocesana si intristisce, intisichisce e finisce per trasformarsi in un’azienda di turismo o di bevande effervescenti. E parlo di preti e di suore che non provino disagio a essere riconosciuti come tali. Il rischio del camaleontismo è quello di diventare inutili. La gente non ha bisogno di amiconi in più o di colleghi di bisboccia. Vuol sentir parlare di Gesù come si parla della spesa e della meteorologia.

 

Laici, associazioni e movimenti hanno assunto un ruolo sempre più importante nella Chiesa. Non mi sembra abbia mai avuto problemi su questo terreno…

Sento anch’ io le difficoltà che si incontrano in varie diocesi nell’accordo tra associazioni, movimenti, strutture ecclesiali ecc. vengo da una diocesi dove non si usavano i calasnicov, ma le alabarde erano indispensabili quando venivano a contatto diverse aggregazioni di chiesa. Potevo prepararmi con le armi di Golia per tener divise le falangi. Mi sono accorto che bastava fare il Vescovo e voler bene a tutti, portandoli al Signore Gesù, per operare una compagnia di cristiani che si vogliono bene e che lavorano insieme. Ho incontrato vescovi per i quali metà del lavoro era impegnato a unire le diverse formazioni cristiane. Qui ho intuito che non si deve partire dal diviso per unire, ma si deve partire dall’unito per riconoscersi le diverse incombenze che partono tutte e tutte giungono a Cristo. Non sto disegnando un Eden com’asco. Dico soltanto che ho incontrato credenti capaci di amore reciproco e di collaborazione per l’unica Chiesa.

 

Da ultimo, l’informazione. Lei è passato talvolta come il vescovo giornalista. Due ambiti separati oppure la «coabitazione» le ha creato qualche difficoltà?

Non mi sono mai ritenuto giornalista. Anzi, la qualifica mi dava fastidio quando mi veniva applicata. Che poi un vescovo debba imparare a parlare e scrivere in modo da arsi comprendere e da farsi accettare, è altra questione. Nessuna difficoltà per la coabitazione tra il Vescovo e il giornalista.

 

Il saluto ufficiale ce lo darà il 14 gennaio. Ma c’è qualcosa in particolare che vuole dire attraverso le pagine de Il Settimanale della diocesi di Como?

Non voglio ripetere la predichetta che farò nel giorno del saluto. Qui insisto soltanto sulla esigenza di partecipare alla stesura e alla diffusione del Settimanale. In un prossimo futuro vi sarà anche il sito Internet Diocesano. Anche allora, però, non sarà inutile partecipare all’avventura del Settimanale. Per aggiornarsi. Per riflettere su ciò che nella Chiesa locale si fa, per conoscersi tra persone e parrocchie, per imitarsi, per fare sempre meglio.

Cari diocesani, non cercate il disegno delle nubi in cielo. Guardate il Tabernacolo. Amate appassionatamente la vostra Chiesa. Il Signore vi darà una gioia che è ignota a chi non crede: una gioia che spingerà a un impegno incessante. La Chiesa è sempre da fare: lasciando agire il Signore, ma anche lasciandosi da Lui condurre per mano.

E tenete nel cuore la Madonna di Tirano. E non dimenticate l’importanza della Valtellina, della Val Chiavenna, del Mandellasco e del Varesotto. Tenete alta la testa. La popolazione della nostra Diocesi è ingegnosa, laboriosa, costante, gentile, elegante. Se conserva l’amore al Signore: l’amore che invoco per tutti voi con la mia “scadente” benedizione.

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