Auguro un anno felice. È l’augurio che il primo giorno dell’anno fanno tutti. E invece, se viene espresso con sincerità – non come un rito d’obbligo stanco e vuoto –, richiede freschezza di cuore e nasconde un’attesa misteriosa.

Porgere un augurio significa volere il bene dell’altro: dirgli che si è lieti che egli esista com’è, e che si desiderano per lui le cose più belle, e che lo si vorrebbe diverso: ancora più limpido, più disponibile, più creativo.

Porgere l’augurio di un anno nuovo significa credere che la vita non è una rassegnata, fatale monotonia, ma che cela sorprese delicate e vigorose; e che vi sono momenti in cui può essere rinnovata, forse riiniziata: come se uscisse ora, giovane, pura e intatta dalle mani di Dio: nonostante tutto.

Auguro un anno felice. O quasi. Perciò auguro un felice “secondo giorno” dell’anno. E poi un terzo, un quarto, e così via...

L’inizio è sempre qualcosa di gioioso che si accetta con trepidazione.

Come un germe che racchiude una vita. Come i primi passi che seguono un cammino su una neve intatta. Il “dopo” è assai più faticoso e richiede maggiore coraggio. Il seme va lasciato silenziosamente marcire nel grembo della terra perché si schiuda, quando sarà tempo, alla promessa. Le orme tracciate sulla distesa di neve non van ripercorse a ritroso o sciupate in un viluppo indecifrabile: vanno proseguite chiare e pazienti, se
vogliono offrire una traccia e condurre a una meta.

Auguro il vigore e l’entusiasmo della fedeltà: anche se può apparire grigia, spenta. La vita la si decide soprattutto nei giorni qualsiasi.

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