Rinuncia? La coscienza del Papa

I cattolici e anche altri seguono con trepidazione la vicenda della malattia del Papa. E’ esemplare e doloroso seguire l’evolversi della malattia di Giovanni Paolo II. Davvero la sofferenza è un magistero tra i più alti. Soprattutto quando la debilitazione è accompagnata dalla fede e vissuta come servizio alla Chiesa. Il popolo cristiano sta assistendo con il cuore sospeso e con la trepidazione di figli le varie fasi del parkinson che colpiscono e bloccano diverse funzioni vitali del Papa: in particolare quelle che permettono l’esercizio del più alto ministero della Chiesa. Anche il rendere un servizio richiede forze da spendere: forze che via via calano. La impietosa macchina da presa televisiva, poi, non cessa di frugare anche tra le rughe del volto, tra il torcersi delle labbra e il socchiudersi degli occhi. Simpatia enorme da parte dell’umanità.

La grande informazione, senza soverchia delicatezza, inizia a parlare di rinuncia al servizio papale. Cita il canone 332 del Codice di Diritto Canonico: “Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata. Non si richiede invece che qualcuno l’accetti”. Il Papa, ancora durante l’ultimo Angelus, ha affermato che continuerà il suo servizio alla Chiesa finché il Signore vorrà. Si rimette, dunque, alla volontà di Dio. Il card. Sodano, Segretario di Stato, ieri l’altro, interrogato circa la eventuale rinuncia papale, ha invitato a pregare “per una lunga vita e per la serenità del Santo Padre. L’affetto dei figli della Chiesa sia per lui la migliore medicina”. E ha soggiunto: “Lasciamo alla sua coscienza” la decisione di continuare il suo servizio alla Chiesa, o di dimettersi.

Il richiamo alla coscienza è stato letto da molti come una riconferma della volontà di continuare fino alla morte. Altri vi hanno intravvisto una volontà di mettersi in discussione davanti al Signore per stabilire se perseverare o no nella missione papale. La coscienza, in termini cattolici, non è mai invocata in chiave individualistica e soggettivistica, come la possibilità di agire come si desidera. Mette a tu per tu con il Signore, senza che nessuno possa inframmettersi. Il problema, così, si para davanti in tutta la sua enigmaticità e in tutta la sua gravità. Tanto più che non sono stabiliti modi precisi in cui esprimere la rinuncia. Con una lettera scritta e consegnata a persona di fiducia? Ma con quale data? Con un atto pubblico di remissione di responsabilità? Non si può dir nulla di sicuro in proposito.

Certo è che la cura della Chiesa universale può essere svolta da un letto di ospedale o di malattia. Ma presenta difficoltà non lievi.

Il Signore ispiri il Papa per il bene di tutta la cattolicità e dell’intera umanità. Siamo pronti ad accettare i suoi orientamenti in modo ancor più deciso, se provengono da un malato che si sta immolando con il suo Signore. E preghiamo perché eserciti con lucida consapevolezza e con forza indomita la guida della Chiesa.

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