La certezza della pena

Si potrebbero portare numerosi casi in cui si nota che delinquenti riconosciuti tali dal tribunale e condannati, non soggiacciono concretamente alla pena decisa nel processo. Omar Favaro, ventun anno, protagonista con la fidanzata Erika De Nardo del massacro di Novi Ligure, quattordici anni di carcere, è in attesa di un permesso premio. Mattia M., diciassette anni, nel marzo 2003 uccide a coltellate Davide e Cesare, viene condannato a tre anni di messa in prova in una comunità di recupero, per lui il PM aveva chiesto otto anni di carcere già ridotti dallo sconto del rito abbreviato. Samson e Davide, sedici e diciassette anni, di Lonate Ceppino (Varese), nel 2000 uccidono una prostituta nigeriana; un anno dopo, il tribunale dei minori sospende per loro la pena a patto che per due anni si comportino bene. E si potrebbe continuare nella casistica che si va allungando a motivo di certa magistratura buonista, e lascia perplessi e irritati i cittadini comuni.

Che dire? Che la pena di delitti dev’essere rieducativa. E tuttavia è da precisare senza eccessiva indulgenza lo stile invalso presso alcuni giudici. Rieducare, per chi ha commesso reati – e magari delitti – implica una giusta punizione. Se no, si diffonde la convinzione che è possibile andare contro la società senza pagare poi la propria responsabilità.

L’aspetto educativo della pena, inoltre, deve in qualche modo ricostruire una personalità – quella del reo riconosciuto – che si renda conto del male compiuto e si riveda – in qualche modo si converta – rispetto al comportamento che l’ha portato nel carcere, minorile o normale che sia. Per far questo occorrerà rivedere a fondo il modo di vivere il periodo della prigione. Non si potrà fingere che nulla sia capitato. Non si potrà, dopo pochissimo tempo, salutare l’interessato augurandogli di fare il buono.

Il compito pedagogico della pena, ancora, deve spingere il condannato a riparare il male compiuto. Si tratta di un principio di giustizia che dev’essere fatto valere nei limiti del possibile. Non è congruo che il malvivente incontri per strada le sue vittime e quasi le derida.

La dimensione pedagogica della pena, ancora, deve, per quanto è consentito, ristabilire l’ordine sociale che è stato leso da atti criminosi o comunque ingiusti. I cittadini rispettosi della legge hanno diritto di essere tutelati e messi in condizione di poter svolgere la loro vita nella tranquillità. Non possono essere lasciati nella condizione di chi teme costantemente aggressioni, furti e così via. Pure per questo motivo occorre che l’attuazione della pena sia resa certa. Interamente o quasi. Già è disagevole l’essere giudicati da magistrati schierati ideologicamente o/e politicamente. Almeno chi esercita la giustizia la eserciti davvero.

Una obiezione potrebbe venire dai credenti che spesso insistono sul perdono da concedere. Merita di precisare che il perdono nel rapporto interumano e all’interno della società non cancella l’esigenza di sottoporsi alla fatica rieducativa dalla colpa in tutte le sue componenti. Anzi, l’amore che si vuole all’altro, anche nemico, aiuta a prendere coscienza della propria situazione e dell’obbligo di ristabilire l’ordine. Un perdono concesso senza motivo – lo si voglia o no – tratta il colpevole come un incapace che non merita dignità. Gli toglie la speranza di potersi  redimere dal punto di vista umano.

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