Siamo davvero alla vigilia della riforma della scuola che il governo vuole varare? Speriamo. L'incertezza in cui ci si muove non è utile né agli studenti, né agli insegnanti, né alle famiglie e alla società.
       A proposito: vedo ritornare temi come l'inizio delle elementari a cinque anni e mezzo, la durata dei licei, la valutazione degli alunni ogni due anni eccetera; meno trovo ribadito, per esempio, il rapporto tra scuola, famiglia e società, su cui pure il ministro Moratti ha insistito risolutamente nei giorni degli Stati generali.
       Parlo, ovviamente, in primo luogo della scuola gestita dallo Stato. E, con un pizzico di ingenuità, mi interrogo: perché mai tutta una parte politica precisamente collocata aborre la scuola privato-sociale come una discriminazione e una ingiustizia, e non la saluta invece come segno di libertà? Potrei rispondere rimandando alla impostazione culturale a cui la parte politica accennata si rifà: è vero che la Costituzione italiana a suo mo do sostiene che «è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio» (art. 30, paragrafo 1): sostiene, cioè, che i genitori sono i primi formatori dei figli.
       Poi, però, ci si lascia prendere la mano dal moloch statale e si riducono le responsabilità dei genitori al compito di generare, appunto, per poi consegnare i figli al pubblico potere perché li erudisca e li prepari alla vita. La Repubblica di Platone. La città del suono di campanella. Arriviamo al concreto e all'attuale: Ventennio, con i figli della lupa, i balilla, gli avanguardisti eccetera. Socialismo reale con tutte le censure su libri e docenti. Cinquantennio democristiano anche, in qualche misura.
       Da segnalare, per il nostro Paese è una strategia gramsciana attuata a lungo, con precisione scientifica e con determinazione, violenta o elegante non importa. Perché mai scomodarsi a istituire scuole privato-sociali, quando ci si era già impadroniti, da parte per esempio di comunisti, ex, post, para, eccetera, delle cattedre più determinanti delle scuole a gestione statale, si erano occupate case editrici, si erano elaborati libri di testo nella medesima linea culturale e tutto l'insegnamento aveva un'impostazione ideologica ben precisa? Per non parlare dei posti raggiunti nei media statali, mentre i cattolici erano intenti ad accaparrarsi presidenze delle banche. Si raggiungevano i vantaggi della scuola privato-sociale trasformando quella gestione statale in una sorta di «iniziazione» marxistica. Oltretutto senza spendere un soldo: usando del denaro pubblico.
       Rimane assodato: «L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento» (Costituzione, art. 33, paragrafo 1). Ciò vale per l'ambito universitario e per le aggregazioni culturali operanti nella società, non sembra valere per la scuola dell'obbligo. L'osservazione dice che i docenti delle scuole medie, anche secondarie, non possono comunicare visioni del mondo in contrasto con le convinzioni delle famiglie degli alunni, o con i presupposti veritativi ed etici che stanno a fondamento della Carta istitutiva della nazione italiana.
       Non si tratta di limiti immotivati. Non si tratta nemmeno di limiti. Si è semplicemente di fronte a un'applicazione del principio secondo cui i papà e le mamme sono gli educatori originari. E ai genitori si aggiungano le sane iniziative culturali libere che le famiglie seguono come aiuto al loro compito educativo. Si ammetta in modo un po' brusco: è anche troppo facile ad adulti che insegnano far passare messaggi non graditi ai genitori: anche perché lavorano su materiale umano - mi si passi la parola - plasmabilissimo. Le stesse famiglie, del resto, pur messe in difficoltà, non riescono spesso a tenere testa alla docenza scolastica. E chissà che non sia utile talvolta perfino qualche forma di «controscuola» - un po' al modo medievale - che rettifichi quanto proposto in scuola, e che sottoponga a qualche vaglio critico insegnanti che spadroneggiano impuniti su ragazzini sguarniti di uno strumentario culturale passabile, ma balbettano se collocati davanti a colleghi competenti e bene impostati.
       Signora ministro Moratti, non lasci cadere per strada il legame che ha identificato e proposto fra la famiglia e la società - i club culturali, i gruppi sportivi, gli oratori eccetera -, da una parte, e, dall'altra, la scuola. Anche se nella riforma ella dovrà essere aiutata da docenti preparati e onesti oltre che da genitori e da altri consapevoli della loro funzione pedagogica. Cosa non facile, ma necessaria.
       I cattolici dove sono in questa opera formativa? Si rendano presenti, se ci sono. Chissà com'è: un musulmano o poco più, un sinistrorso o poco più riescono a tenere in scacco una scuola. Molti cattolici sembrano esaurire la loro forza nel cercare gli aspetti in cui poter dar ragione a islamici, filomarxisti e così via: purché diano torto a quelle che dovrebbero essere le proprie convinzioni filosofiche e di fede.

 

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