Spiace che documenti come questo circolino pressoché clandestini tra gli specialisti, mentre la grande informazione per lo più li ignora. Sto parlando di un testo - sette pagine dattiloscritte - intitolato: «Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni)». Quasi il ministro competente e i suoi esperti volessero esibire il modello concluso dell'alunno - concluso come lo può essere un preadolescente - che la scuola nuova si orienta a formare. Il fine, se si vuole, di un lavoro di sette anni tra banchi, quaderni, computer, mezzi di apprendimento linguistico e non so quali altre diavolerie.
       Non si riesce a capire perché i mass media non vi prestino attenzione. Anche perché - sperimentazione limitata dalla scuola nuova a parte - le vedute qui espresse interessano non solo gli alunni ma anche i maestri e i professori, com'è evidente. Interessano anche - e qui cito - le strutture di collaborazione con la scuola: quelle chiamate informali (famiglia, amici eccetera) e quelle chiamate non formali (parrocchie, enti, associazioni culturali eccetera). Già, perché la riforma scolastica è intenzionata ad attuarsi in stretto collegamento con la società. Era ora. E non si capisce perché, dopo tante chiacchiere e fandonie sull'abolizione - non vera - del tempo pieno, sull'inizio della frequenza qualche mese prima dell'età canonica, sulla riduzione - inesistente - del personale docente, sulla parità delle scuole privato-sociali e quelle statali e così via, non sia di qualche utilità studiare e dibattere su quale tipo di uomo si vuole cavare al termine di un lavoro che dura sette anni. Sembra si pensi a tutto tranne che agli alunni, i quali pure non sono componente trascurabile della scuola. O no?
       Non nego che il linguaggio del «profilo» risenta un poco del pedagogese. E tuttavia il pensiero si lascia cogliere. Identità e autonomia del ragazzo. Capacità di programmare il futuro. Inserimento nella convivenza civile. Strumenti culturali per leggere e governare l'esperienza. E altro. Chi vuole accosti direttamente il documento: se lo faccia dare dalle scuole, nel caso non lo trovi altrove. E' ancora in bozza. Lo si può approvare o contestare. Se no, scioperi e girotondi permettendo, ce lo troveremo approvato e sarà tardi per reagire.
       Mi preme sottolineare due punti che reputo importanti. Il primo. Il testo suggerisce - non comanda - che si aiuti lo studente - non lo si costringa - a porsi, almeno al termine della media inferiore, «le grandi domande sul mondo, sulle cose, su di sé e sugli altri, sul destino di ogni realtà, nel tentativo di trovare un senso che dia loro unità e giustificazione», nella consapevolezza «dei propri limiti di fronte alla complessità dei problemi sollevati». Porsi le domande. Che è opera di genio. Darsi le risposte. Senza soverchi suggeritori o imbonitori o plagiatori o tiranni culturali.
       Nessuna costrizione, dunque. Nessun indottrinamento. E invece anche alcuni cattolici vorrebbero si evitassero questi e simili interrogativi. Motivi? Si tratta di rovelli interiori in cui la scuola non dovrebbe immischiarsi. Perché mai? E se li tralasciasse, non avrebbe già compiuto una scelta aprioristica o ideologica o nullistica? Dopo di che, strillano coloro - in primis i sindacati onniscienti - i quali vogliono una neutralità assoluta, non la possibilità della riflessione personale e del dialogo tra diverse impostazioni di vita.
       Un secondo punto da evidenziare. Il testo chiede che lo scolaro sia condotto ad «avvertire interiormente, sulla base della coscienza personale, la differenza tra il bene e il male ed essere in grado, perciò, di orientarsi nelle scelte di vita e nei comportamenti sociali e civili». Anche qui, alcuni cattolici dalle idee non troppo perspicue - ce ne sono, ce ne sono - pretendono che la scuola si limiti a insegnare ciò che è legittimo e ciò che no, senza entrare o anche soltanto lambire l'aspetto morale dell'esistenza. Gli scettici o i dottrinari del positivismo giuridico, poi, rincarano la dose delle critiche. Sì, perché, secondo loro, dovrebbe essere libero soltanto ciò che non è imperato dal Codice civile o dal tribunale del popolo: nessun criterio etico - fosse pure kantiano - avrebbe il diritto di sovrastare o di soffocare la consapevolezza e la capacità di decidere il proprio destino. E così non si preparano amoralisti? Mah. Chissà quale sistema filosofico seguono gli agit prop sindacali che dottorano su tutto e ragionano spesso a suon di manifestazioni oceaniche o di picchetti, imponendo quella che ritengono la verità assoluta.
       Se si vede bene, il dilemma è fra zucche vuote, da una parte, e, dall'altra, teste capaci di interrogarsi e di sottoporsi alla criticità veritativa e valoriale. Ovvio che sia più facile imbottigliare con slogan delle zucche vuote che non pongono domande e possono arrivare a obbedire e persino a desiderare, giulive, una sorta di elegante sudditanza culturale. L'egemonia, in questo campo, non si tocca. Dopo di che, si è pronti a mettersi in fila ad agire per psittacismo: a sgolarsi e agitare striscioni di protesta per le strade e nelle piazze. In vista di che cosa, oltre che di marinare qualche ora di lezione? E ritorna l'opportunità di snidare i presupposti teoretici - di buon senso - di un modello di studente che si vorrebbe raggiungere nel pieno adeguamento alla ragione e nel totale rispetto della libertà. Guai se ci si lascia intimorire dalla violenza semplificante e nemmeno documentata. Buon cammino, ministro Moratti.

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