Ho ascoltato anch’io il messaggio del Presidente della Repubblica al termine dell'anno, del secolo e del millennio che abbiamo alle spalle. Non mi è venuto d’istinto, al termine, dopo i saluti anche della signora Franca, di levarmi in piedi e di applaudire fragorosamente davanti alla televisione. Un discorso pacato, infarcito dei necessari luoghi comuni, declamato con qualche serenità, attento a evitare gli scogli più insidiosi. Un discorso passabile, ecco.

Vorrei cogliere, di quel testo, l’invito che Ciampi ha rivolto agli italiani in preparazione alle prossime tornate elettorali. Ha esortato ai dibattiti necessari che dovrebbero essere “più fruttuosi e meno aspri". Cosi gli italiani “potranno capire per chi votare", anche perché si sarà evitato “l’uso di linguaggi intolleranti, indegni di un confronto democratico”, capaci di esprimere e accrescere il “tessuto morale della nazione”.

Intanto, se Dio vuole, c’è qualcuno il quale ammette - e ha l’autorità di ammettere - che siamo ormai nell’imminenza delle elezioni. Da tempo - da mesi -ci si baloccava con il problema, e le parti avverse se lo rimandavano come in un ping-pong estenuante, per accusare gli altri di aver avviato la campagna elettorale. Tempo di scadenza della legislatura a lato, i non completamente svagati si erano accorti - eccome - del surriscaldarsi del confronto elettorale in corso : un confronto che mons. Della Casa non avrebbe forse approvato né nel lessico, né nei decibel. Per non parlare d'altro. Adesso almeno è chiaro che cosa si sta facendo e preparando nel mondo politico. Ciò che non mi interessa - sia chiaro - per sé. Mi sollecita a riflettere, piuttosto, per quanto riguarda il rispetto reciproco e una qualche proprietà di linguaggio e un qualche aggiustamento di argomenti e di metodologia. La logica da riscoprire, perché non si lasci trionfare l'oratoria. L’oratoria e la sofistica.

Lascio a margine anche il suggerimento perché ciascuno si assuma la responsabilità del voto. Uno vale uno. E può decidere la maggioranza. La situazione americana insegna.

Mi domando il perché di un certo nervosismo che si riscontra, crescente, negli interventi più recenti dei politici. E speriamo che i mesi prossimi non ci riservino psicopatologie o quasi.

Secondo me, si parla troppo da parte dei responsabili - in carica e aspiranti - della cosa pubblica. Quando uno ha le idee chiare, non ha bisogno di tomi alti così per spiegarsi, né di ripetizioni, né di perorazioni, né di prolissità. Ama ricercare l’essenziale: soggetto, predicato e complemento. Così che la gente capisca e non si ritrovi sperduta in una nebbia fitta dove tutte le vacche sono nere e magari non sono nemmeno vacche. Strade indecifrabili, sentieri interrotti, e ci si dovrebbe arrestare, mentre no, si procede tra una sterpaglia che denota il disorientamento che si ha in zucca e, forse, una certa aridità che si ha in cuore. Sissignore c’entra anche il cuore nel prendere contatto con le persone che andranno a votare.

Ho un vivo desiderio - non sempre soddisfatto - di sentir discorrere di cose concrete, e non di alcuni princìpi sull’universo. Diventa difficile insultarsi sulla validità di un progetto di lavoro o di un altro. E invece. Uno ha un lampo di intuizione, non ha ancora chiarito a se stesso ciò che vuole, ancor meno ha strutturato gli articoli di una proposta di legge, ed ecco che si sente in diritto e dovere di illustrare al mondo un sogno che non ha ancora terminato. Dopo di che, si assiste a una lotta furibonda tra aspirazioni, ciascuna delle quali vorrebbe sopraffare l’altra. Tutti vociano. Tutti strillano. A un certo momento non si sa nemmeno più di che cosa si stia esattamente parlando.

Da registrare è. poi, il capitolo della personalizzazione - non so come esprimermi altrimenti - del dialogo - chiamiamolo cosi per bontà - che si va svolgendo. Non si vota per gli angeli. E, dunque, è pur giusto interessarsi delle vicende maggiori di un personaggio: capacità o meno, fiducia che ispira o meno. Senza andare a montar scandali fasulli a freddo. (Esiste anche il peccato di calunnia). Senza arrivare alle invettive in una sorta di gara a chi spara più grosse le parolacce (ricordo un nipotino che, un certo giorno, in una gara di questo tipo, inveì contro un fratello chiamandolo “pleonastico” e spiegando: “ciò che si può anche omettere”). Temo che non si verrà troppo a capo di raccolta o di perdita di voti in questo gioco all’insulto.

Ultima annotazione. La più scoraggiante. Si stanno interpretando in una prospettiva politica anche occhiate distratte, accenni di sorrisi, starnuti persino. Qui, con buona pace di molti intellettuali, non riesco a seguirli quando assicurano che ormai “sono cadute le ideologie”. Quando uno non ha un disegno architettonico in mente circa una società da costruire, si mette furiosamente ad aggrapparsi a schemi di accatto. E’ proprio vero che il marxismo sia morto del tutto? E il materialismo? E la violenza come levatrice della storia? E’ proprio vero che un certo radical-individualismo-sadismo-consumismo-istintivismo sia defunto, lasciando il passo all’entrare glorioso di un’“etica della responsabilità” senza norme fondate?

Lascio sospesi gli interrogativi. Intanto, il galateo si richiede, signori politici. Il galateo, se non proprio la carità fraterna anche verso i nemici, come suona il precetto cristiano.

E i fatti dicono assai più dei discorsi e dei maquillages.

Instagram
Powered by OrdaSoft!