Sabato 25 ultimo scorso su questo giornale Massimo Teodori rispondeva a Rocco Buttiglione il quale - come è noto - al Meeting di Rimini aveva espresso la volontà di rivedere la legislazione italiana sull'aborto: almeno assegnando un milione al mese per un anno alle donne che avessero deciso di far nascere il bambino che portano in grembo recedendo da una interruzione abortiva. Il filosofo cattolico avrebbe potuto anche richiamare almeno la seria e totale applicazione della legge 194, compreso il colloquio previo all'intervento medico in vista di una scelta responsabile. E insistere per qualche maggiore restringimento dei casi ammessi: qualche condizione più ardua per il via libera.
       In una prospettiva politica - che non è la mia - Teodori ha ragioni da vendere: oggi nella situazione italiana non ci sono le premesse per una revisione della legge «a tutela della maternità». Le due sole frasi che il giornalista cita cogliendole dai membri della maggioranza politica, si appellano al principio «che la decisione ultima in fatto di aborto spetta alla dorma», è una «conquista delle donne».
       Buttiglione ha voluto l'investitura di crociato antiabortista tutto d'un pezzo tra i parlamentari e tra i ministri? Forse da filosofo non ha badato al contesto italiano attuale e si è limitato a emettere un principio astratto o un desiderio? Ignoro.
       Mi interessa, invece, l'argomentazione con cui Teodori ribatte. Il quale, ricostruendo la mentalità che starebbe dietro l'opposizione alla 194, parla di «cattolici integristi», di «settori conservatori della Chiesa» e di «Chiesa tradizionalista». Insomma, sarebbe «in forza di rispettabilissimi principi religiosi» che lo Stato dovrebbe condannare l'aborto mentre «la spinta modernizzante e laicizzante» porta ad altri esiti.
       Con ciò il problema della tutela del nascituro sembra da collocare accanto alla fede nell'angelo custode o all'Immacolata concezione. Dogma. Ideologia. Affare di credenti. Non certezza laica. E rimane vero che ogni cattolico dovrebbe condannare la legalizzazione dell'aborto. Non è altrettanto vero, di contro, che ogni laico autentico dovrebbe ammetterla. Perché? Perché si tratta di una questione razionale e non, prioritariamente o esclusivamente, di fede. Un bimbo non ancora nato è persona entro 90 giorni dal concepimento. Chi può negarlo? Vedere per convincersi. Per la verità, l'ha negato la Corte costituzionale che, nel caso di salvezza della madre o del figlio in grembo, preferisce la madre dal momento che il figlio «ancora persona non è». Chi gliel'ha rivelato?
       Mi svito la testa episcopale e cattolica e me ne avvito al collo una laica. Con una sana intelligenza posso chiamare «orribile delitto» e omicidio l'aborto volontario? Se sì, sempre con una sana ragione, posso affermare che forse, tra un bimbo al terzo mese e un sessantenne, il primo ha più diritto di vivere poiché il secondo ha già vissuto un poco? A turno. E se il diritto a vivere è fondamentale e imprescindibile, lo Stato democratico lo può «attribuire» o no a proprio piacere, oppure lo deve necessariamente riconoscere»? Il diritto a vivere e antecedente allo Stato in una visione liberale. E la facoltà di uccisione concessa dalla legge civile agli operatori sanitari e perfino alla madre - sia pure entro certi limiti, abbastanza elastici del resto - coonesta moralmente un fatto che costituisce l'avvio di una eliminazione di soggetti innocenti e indifesi?
       Conduco la riflessione in base alla sola intelligenza umana. La rivelazione divina mi dirà altro ma non mi spegne la ragione. E umiliante - mi perdoni Teodori - sentirsi messi in un angolo quasi sorpassati e bacchettoni, come se l'esercizio del pensiero fosse privativa di chi è estraneo alla fede. Mentre all'analisi di un sano illuminismo si hanno motivi per trovarsi almeno a disagio di fronte alla 194. Insieme con Teodori. Senza cedere al pensiero corto ed estenuato e confuso. Un dubbio mi rimane. Chissà, però, se la modernità e la laicità richiedono proprio la licenza di ammazzare magari piangendo.

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