Non è il caso di stupirsi per il fatto che lo sfascio di Genova venga utilizzato politicamente. Con ogni probabilità era stato organizzato politicamente. Dopo di che, si comprendono molte cose e soprattutto una estremizzazione delle posizioni che sa di beffa: a cominciare dalla criminalizzazione di tutti gli agenti incaricati dell'ordine pubblico e dalla santificazione di tutti i manifestanti.
       Non mi va di rincorrere la cronaca. Mi chiedo, invece - pressoché in prospettiva storica -, quale rilevanza e quale significato democratico possa avere l'armata di ribelli che è insorta nelle strade e nelle piazze della città ligure.
       Non c'è bisogno di disprezzare le elezione come «ludi cartacei» per autoeleggersi quali rappresentanti del popolo. Centocinquantamila manifestanti e due o tremila energumeni un poco anche vigliacchi? Ecco gli italiani e anche i rappresentanti di altri Paesi. La gente, insomma. La maggioranza, insomma. L'umanità, insomma.
       E che, mandiamo a spasso il Parlamento e l'esecutivo con la disinvoltura più allegra? Qui il richiamo al diritto di manifestare il dissenso è rituale. Eppure la Costituzione parla di proteste legittime entro termini di legge e senza armi: è vero non specifica che cosa esattamente siano i lanci di bottiglie molotov, di cubetti di porfido e di delicatezze simili. Non carezze, dunque. Ma la dichiarazione di guerra contro il governo e gli uomini incaricati di farne eseguire i comandi era stata esplicita in tv già tempo prima da parte di più di un capo della sommossa.
       La logica di una simile autonomina a rappresentare il popolo non si arresta tanto facilmente. Ed ecco le minacce, fatte balenare in Parlamento, di organizzare folle oceaniche di protesta, se non proprio di guerriglia. Ma non sarebbe più semplice e meno inelegante aspettare le prossime elezioni? O la gente va educata con il manganello e l'olio di ricino? Quando non si sa perdere in un confronto leale e pacifico.
       Torno agli attori di Genova. I quali non pare avessero un programma molto elaborato e ampio di civiltà nuova e radiosa: volevano entrare nella zona rossa - quella proibita - e impedire che si tenesse il GB. Occorre forse qualcosa di più per una umanità felice. Occorre anche avere qualche proposta da offrire, non solo una rabbia da far esplodere. Non basta la protesta. Non basta un libercolo come No logo raccattato per via e il richiamo alla ricchezza di alcuni - pochi - Paesi e alla povertà di altri - molti - Paesi. Si impone pure una strategia opportuna per superare la situazione e perfino un pizzico di conversione personale a una vita più austera. Si, conversione personale. Non siamo lontani dal tempo in cui noi ben pasciuti e vitaminizzati dovremo privarci di qualcosa: necessariamente, non perché ci sarà scattata dentro una propensione matta all'ascesi, ma perché saremo - felicemente - obbligati ad aiutare il Sud affamato; suscitandone l'iniziativa più che coprendolo di elemosine. Dove troveremo allora le ragioni per tale passo indietro? Beati i credenti. (Mi torna come una fissa l'interrogativo: Chi paga questi movimenti?).
       Come già altri fenomeni del passato il «popolo di Seattle» - come amano farsi chiamare i dimostranti - nel breve periodo andrà alla ricerca di alleati e di nuove forze rivoluzionarie. Ne troverà sul momento. Anzi si imporrà esso stesso come guida di una palingenesi universale. Poi si accorgerà che parecchi dei propri adepti si stancheranno - già vengono le vacanze - e andranno magari a ingrossare le file dei dirigenti del capitale anche più opprimente. Poi via via gli alleati si accorgeranno di essere stati usati per un gioco che deve durare poco.
       A questo punto non ci si tranquillizzi troppo presto. I pochi scalmanati rivoltosi rimasti potranno tentare avventure drammatiche per la società civile. Non si rassegneranno a rientrare nei ranghi tanto docilmente. Specie si si riflette sul fatto che diversi di loro vivono in specie di comunità in stato di lotta continua: comunità che lo Stato sembra subire senza reagire. Attenzione.

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