Chiedo lumi. So di semplificare molto, ma il nocciolo dell'interrogativo è questo: se, presentandomi al giudizio ultimo di Cristo, verrò condannato per non aver partecipato e non aver sostenuto le manifestazioni ormai prossime contro la globalizzazione durante il G8 a Genova.
       Mi si lasci prendere il problema un poco alla larga. Ho vissuto dal di dentro il nascere e l'evolversi dei moti studenteschi dei '68 in Università Cattolica a Milano dove insegnavo. I motivi della contestazione? Si partì dalla protesta contro l'aumento delle tasse scolastiche. Si giunse a pretendere, se non proprio il 27 politico, più numerose sessioni di esami e a escludere le bocciature. Si rifiutò la lezione accademica tenuta dai baroni. Si rivendicò la scuola autogestita. E fin qui si poteva capire qualcosa. Poi si tentò il collegamento - fallito eppur sbandierato - con la classe operaia. Ci si schierò contro l'America. Si proclamò il principio secondo cui era proibito proibire (ma che cosa?). Si volle la fantasia al potere. Si arrivò alla contestazione globale: anche allora la globalità era a tema nella sua indeterminatezza. E si venne alle occupazioni durante le quali si sfasciava un poco di tutto. E si creò la «forza d'ordine», ragazzotti muniti di chiavi inglesi e di bottiglie molotov. Ci si peritò con gli espropri proletari. Si organizzarono scontri con la polizia (a spiegare i quali talvolta erano già pronti i comunicati stampa prima che i fatti accadessero). Poi vennero le P38, «Lotta Continua» e le Br. furono esiti nefasti di frange violente del movimento. Lungo la strada si stabilirono maestri di accatto: Marx, Mao e Marcuse: vecchi per un fenomeno che intendeva essere giovane. La Chiesa nei suoi membri più perspicaci e sensibili - ricordo il cardinal Colombo - si limitò a condannare la violenza e a scoraggiare la partecipazione dei cattolici agli eventi disordinati. Ma sorsero anche voci di plauso e quasi di incitamento da parte di uomini religiosi: vi sono sempre i cappellani della marchesa di turno.
       Si sa: la storia non si ripete. Ma ho la vaga impressione di assistere a una «replica» in questi giorni. Causa confusa e generica: la globalizznzione sembra spesso la ragione di tutti i mali del mondo; gli otto capi di Stato non sono autorizzati a decidere su tutta la terra; anche i movimenti di ribellione si attribuiscono un'autorità che non sembrano avere ma che rivendicano a forza; si giura che si terranno manifestazioni pacifiche, ma si ha in animo la paura che gruppi di scalmanati si comportino con ferocia (e speriamo che non ci scappi il morto: tremo al pensiero); si afferma il diritto di manifestare, ma si cita la Costituzione a metà, tralasciando la clausola che esige che gli agitatori non debbono essere armati; si tengono assemblee che in concreto fan tacere ogni dissenso, eccetera. Per quanto riguarda la Chiesa, si desiderano da essa approvazioni e incitamenti. Al punto che se un credente si stacca dal coro, è bollato come un affamatore dei miseri: anche se chiede la promozione economica - e altro: vita, famiglia, cultura e così via - del Terzo Mondo, ma si rifiuta di essere a Genova e di benedire i gagliardetti anti-G8. Una sorta di ricatto, insomma. A cui la Chiesa potrebbe prestarsi - a metà magari - pur di riuscire un po' furbescamente a dire: c'ero, non c'ero a seconda dei risultati. Piegandosi così alla borghesia attuale e esponendosi un poco alla possibilità di tradire i suoi figli. Mestizia.
       Capisco che la globalizzazione è fenomeno, inevitabile forse, da dominare e da guidare: da conoscere prima. Non senza fatica. Non senza impegno morale. Assicuro: sono per lo sviluppo dei popoli indigenti; a costo di sacrifici voglio maggiore austerità nelle società opulente, annoiate e violente talvolta; ignoro di che cosa discuteranno gli otto grandi del mondo; pure io, a modo mio, premo perché vi sia più giustizia a favore dei poveri, eccetera. Ma non mi si obblighi, per favore, a marciare con i cartelli e a fare la claque a un'organizzazione che sospetto non si limiterà ad accarezzare poliziotti e carabinieri con delle piume: un'organizzazione che tralascia tutta o quasi l'originalità del Vangelo; un'organizzazione che forse segna il prevalere di un ceto benestante, bottegaio e forcaiolo e forse non esclude pienamente il tornaconto nella politica spicciola. La Chiesa - con le migliori intenzioni - rischia di collocarsi accanto pure a intolleranti che magari esigono una società la quale espunga il Signore Gesù e il Vangelo dall'orizzonte di conoscenza c di impegno. Almeno si ammetta l'ambiguità della situazione.
       No. Ai rischi di sopraffazione preferisco le missioni e l'attuazione della dottrina sociale della Chiesa: da parte mia, da parte dei G8, di chi crede e di chi è uomo di retto sentire. Imprese rivoluzionarie o quasi, arruffate e chiassose come quella prossima di Genova corrono sempre il pericolo di lasciare il mondo peggiore di come l'avevano trovato.

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