Trovo su Repubblica di sabato 24 c.m. un intervento di Massimo D'Alema che intende reimpostare il rapporto fra visione laica e visione cristiana in campo morale. L'articolo si apre e si chiude con la solita critica al Card. Sodano circa la sua pretesa consultazione dei politici italiani, senza porsi l'interrogativo se a essere clericali e bigotti non siano stati proprio i nostri politici in cerca di passerella e di benedizioni. Rutelli capofila.
       L'orizzonte culturale in cui si muove D'Alema è la modernità: l'Illuminismo, insomma. Una prospettiva già vecchia, con la quale, tuttavia, il cristianesimo da tempo sta facendo i conti. Gli argomenti del contendere sono molteplici: per tutti valga «l'evoluzione della scienza e della genetica».
       Che cosa vuole D'Alema? Che cattolici e laici si intendano in una sorta di metà strada. Per esprimere un tale accordo egli usa almeno otto locuzioni quali mète di un dialogo «meno ideologico»: culture diverse devono divenire complementari, in uno scambio che operi una riconciliazione, attraverso un'apertura e un incontro che segni un riconoscimento reciproco (2 volte) e una convergenza; otto locuzioni che non sembrano far procedere di molto il discorso, includendo pure una linea di orientamento verso soluzioni avanzate e verso una maggiore maturità: comparativi, questi, che non dicono nulla se si conosce il superlativo.
       Uno rilegge perché è preso dal dubbio se si trovi di fronte a posizioni che vogliano essere anche teoretiche o intendano soltanto puntare a un accordo pratico, di tipo politico, in una democrazia pluralistica. L'impressione che ne cava è che il confronto voglia porsi anche su un piano di verità. E pazienza, se si è convinti che la verità derivi e conduca alla prassi. Marx, Seconda Tesi su Feuerbach, per dirne una. Ma si riconosca che questo è un dogma.
       Il clou della presa di posizione sta nell'affermare che la Chiesa deve rinunciare «al "monopolio" della verità e dell'etica» perché «non possono la fede da sola, o la sola razionalità, contenere la verità ultima su questioni del genere» come quella accennata.
       Qui D'Alema mi permetterà almeno tre osservazioni. Una prima. Sembra difficile, per esempio, far morire a metà un embrione, nel caso che un cattolico affermi che egli è già persona umana, e un laico neghi.
       Una seconda osservazione: non riesco a capire perché in linea di principio si separino - e quasi si contrappongano - fede e ragione. Altro dogma illuministico. II credente è convinto che la ragione cerchi la fede e la fede provochi la ragione. Perciò, quando la Chiesa - si metta - proibisce l'aborto, non fa dell'ideologismo, né presenta un dato rivelato che vuole imporre a tutti con la forza: si limita a ritrovare una veduta umana dentro una fede che accoglie la parola di Dio. La Chiesa si lascia aiutare da tutti, anche dai laici fermi all'Illuminismo, a prendere coscienza della verità e del valore della persona umana che già possiede - a modo di dono e senza alcun merito proprio - in Gesù Cristo. Impara, in questo modo. Ha già rinunciato al «monopolio» della verità e della morale. A meno che di proibire ai credenti di avere certezze etiche anche umane. Se laico è il cittadino D'Alema, io sarei meno laico perché sono vescovo? Non paghiamo le medesime tasse personali?
       La terza osservazione concerne lo Stato laico, che i cattolici italiani, con qualche fatica iniziale, ora accettano con serenità. È un dato che libera, per esempio, anche da ideologie e da strutture sociali -da dogmi e da coercizioni - statalistiche. Alla condizione che tale Stato democratico non conculchi diritti che esso deve riconoscere e non attribuire alla persona umana: la vita, si metta ancora. Diversamente, si sta pensando non solo a una lezione filosofica unica da cui non ci si potrebbe scostare, ma anche a qualcosa che assomiglia all'inizio di una dittatura. Secondo logica. Insegnamento di Giovanni Paolo II. Senza importunare i cardinali, magari mettendo Martini contro Sodano. Che barba.

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