Omelia nella Messa di Natale

Como, Cattedrale, 25 dicembre 1994

 

Non si tratta soltanto di una ragnatela di idee ben articolate. C’è anche la verità piena sull’uomo nel Bimbo che nasce a Betlem. Ma il Natale è innanzitutto un avvenimento.

Si può lasciare a lato la questione della cronologia computata in modo errato dal monaco Dionigi il Piccolo, durante l’alto Medioevo, sicché la data della nascita di Gesù sarebbe, per paradosso, da collocare, forse, all’anno 6 avanti Cristo, dunque esattamente 2000 anni fa. Ma è questione irrilevante.

L’accadimento è posto tra coordinate ben precise. Il luogo. La Palestina. Nella regione della Giudea. A Betlem, città originaria di David. E il tempo è determinato mediante innumerevoli riferimenti. Durante il regno di Erode il Grande. Sotto l’im­pero di Cesare Augusto. In occasione del censimento del governatore Quirino. Al sesto mese dopo la nascita di Giovanni il Battista. Eccetera.

Insomma, si è di fronte non primariamente a una teoria, ma a un evento storico. Qui c’è anche da comprendere e forse da discutere. Ma innanzitutto ci si imbatte nella densità di un fatto con il quale occorre misurarsi.

E’ la caratteristica fondamentale del cristianesimo. Esso non è una gnosi - una sorta di superconoscenza - raggiunta da pretese forze dell’uomo. Il cristianesimo è svelarsi di Dio che comunica la luce del suo mistero e offre se stesso nel Verbo che si incarna: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”: egli, il Rivelatore e la pienezza della Rivelazione.

Rimane da precisare il modo di comunicarsi di Dio.

L’Infinito non sta nella sua aseità lontana e struggente, impassibile e indifferen­te, quasi crudele: non rimane a osservare un suo inviato, uomo come noi e non Dio, quale si aggiungerebbe all’umanità come un maestro che porterebbe una lezione e come un socio di sofferenza che recherebbe un’altra sofferenza, e non si curve­rebbe su di noi e non ci coinvolgerebbe nel nostro intimo più intimo, ma ci lascerebbe nella nostra condizione di destinati alla disperazione e alla dannazione.

L’Infinito, ancora, non si rende presente nel mondo sino a identificarsi con esso e con l’uomo, così che scomparirebbe egli stesso e ogni consistenza dell’universo e ogni possibilità di colpa e di perdono offerto all’uomo.

Gesù che nasce manifesterà gradualmente il suo mistero. Già ora è attorniato dagli angeli che cantano la pace in terra agli uomini che Dio ama. Ma, poi, assume­rà decisioni e atteggiamenti incomprensibili in un uomo semplicemente uomo. Darà una nuova Legge, come Jahvé sul Sinai ha scolpito le due tavole dei Coman­damenti. Opererà miracoli. Si dichiarerà Padrone del sabato. Rimetterà i peccati. Chiederà agli uomini di giocare l’intera esistenza su di lui come sul motivo del­l’autentica felicità, pena il fallire della vita e lo scegliere l’orrido arcano dell’Infer­no.

Poi sarà il momento del gemito nel giardino degli olivi. Sarà la condanna subita e la Passione liberamente accolta. Sarà l’esperienza dell’abbandono da parte del Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E il grande grido che lacera il velo del Tempio e l’universo. E la morte. Poi sarà la sepoltura, ma, dopo i tre giorni, non corrotto, sarà la gloria della risurrezione: la pietra del sepolcro ri­baltata, l’apparire alle donne e ai discepoli, l’entrare nella dimensione dell’invisi­bile, o del visibilissimo concreto porsi della Chiesa come suo segno e causa di salvezza.

Questo Bambino che ammiriamo piangente, sorridente, infreddolito e raccolto tra le braccia della Madre, è Dio stesso: il Verbo che era “in principio”, e prima del Natale, e Uomo al Natale, e presente ogni giorno e Veniente al suo manifestarsi conclusivo e giudicante.

“Ultimamente, in questi giorni, (Dio) ha parlato a noi per mezzo del Figlio che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo”: ha creato anche ciascuno di noi e ci offre la redenzione. “Assiso alla destra della Maestà (di Dio) nell’alto dei cieli” egli “irradiazione della gloria (del Padre) e impronta della sua sostanza”, non solo ci crea, ma ci rende “figli nel Figlio”.

In tal senso noi rinveniamo nel Signore Gesù l’immagine dell’uomo perfetto e l’approdo di grazia e di gloria a cui siamo chiamati. Non cesseremo mai di stupirci per questa decisione di Dio di essere tra noi a condividere la nostra esperienza, ad adossarsi i nostri peccati e a divinizzarci nel nostro essere, nel nostro pensare, nel nostro amare, nel nostro agire.

Non abbandoniamoci a una commozione subitanea e immotivata. Cristo è “se­gno di contraddizione”: motivo di salvezza per chi lo riceve, e motivo di scacco per chi lo rifiuta. “Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti, però, l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credo­no nel suo nome, i quali non da sangue, nè da volere di carne, nè da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. “Il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme”, ha risollevato dalla colpa chi si è lasciato risollevare e ha donato un nuovo stile di vita. Poiché il permettere a Cristo di trovarci è motivo di incomparabile consolazione, ma è anche ragione di un impegno a riamare nella quotidianità della vita: un impegno che dura, che cresce e che sfocia nella vita beata, dopo aver superato innumerevoli sofferenze.

L’aprirsi di Dio e il suo inviare il Verbo fatto carne, ci colloca nell’impossibilità di disinteressarci della redenzione; domanda che ammettiamo i nostri peccati e cadiamo in ginocchio per lasciarci perdonare e per lasciarci trasformare nella vita divina, nuova e sorprendente.

L’uomo di oggi, accanito contro una salvezza che viene dall’esterno e imbozzolato nella sua affannosa solitudine, deve trovare il coraggio di smettere questi atteggia­menti, e guardarsi dentro, e darsi del “tu”: e consentire che Dio gli guardi dentro e gli dia del “tu”. Allora insorge una personalità inedita che spazza via le convenien­ze, le meschinità eleganti e le idee bislacche del tempo in cui viviamo. Allora emerge l’uomo libero, fatto a immagine di Dio, orientato a divenire ciò che è: capace di pensiero critico, di amore vero, di solidarietà e di impegno per “i cieli nuovi e la terra nuova” che questo Bimbo, nato a Betlem, inizia a far brillare.

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