Omelia nella Messa di Natale

Como, Cattedrale, 25 dicembre 1991

 

1. Viviamo, almeno nella vecchia Europa occidentale, un momento convulso e contraddittorio della nostra storia. Un momento angosciante anche.

Con le dovute eccezioni, sembra che la depressione e la violenza trionfino.

La depressione di chi non trova più motivi per vivere. E ci si chiude in se stessi, lasciando che la condizione umana faccia il suo corso assurdo. E ci si lascia prendere dalla paura come se tutto fosse sconclusionato. E ci si muove come brancolando in un buio cattivo. E 1’esistenza stessa appare come una maledizione da cui non si riesce a liberarsi.

Di contro, affoghiamo in una violenza che non risparmia nulla a nessuno.

Non la giustizia, il rispetto, la solidarietà, il vicendevole accogliersi, il dovere sembrano prevalere, ma la critica astiosa e generalizzata, il mugugno e la rabbia contro le istituzioni, contro ogni legge, ogni obbligo che impone dei limiti. E passi per quanto è davvero esito di disonestà, ma la furbizia e il sopruso sembrano virtù da acquisire a ogni costo.

Non solo. Si sprigiona la violenza nei riguardi delle persone. Il servizio dovuto agli altri appare una vergogna. L’ostilità o la noncuranza si instaurano soprattutto nei confronti dei più deboli. Il disprezzo e il maltrattamento si esercitano perfino sui bambini. E non pare ci si possa troppo lamentare, quando si assiste al tranquillo sterminio di vite umane ancora nascoste nel grembo della madre. Per non parlare di guerre, mentre tutti osannano alla pace.

Questa violenza si rivolge pure a se stessi come nel fenomeno della droga che si espande e distrugge. Ci si sta avvicinando, forse, a grandi passi anche a una sorta di esaltazione o di pacifica accoglienza del suicidio e alla richiesta dell’eutanasia.

Perché una simile furia selvaggia che sta erompendo? Perché la vita sembra priva di senso e di valore? Perché i diritti altrui sono tanto spesso violati? Perché il malcontento che dilaga e ci rende tristi e aggressivi?

Le risponte possono essere molte in superficie. Ma, se si va al fondo della questione, al nocciolo del problema, la risposta è una sola.

Quando si decide di sbarazzarsi di Dio, anche l’uomo perde consistenza e dignità: diviene una “cosa” — trascurabile perfino — tra le altre: una “cosa” di cui si può disporre a piacimento e a capriccio.

E l’esperienza con cui ci misuriamo ogni giorno. Dio, se non è considerato un’ipotesi inutile, viene percepito come un gendarme arbitrario e impietoso, come un ingombro che ci impaccia nei movimenti della nostra libertà senza legge.

Meglio, molto meglio far senza Dio o ribellarsi a Lui. Ma allora cadono tutte le norme, svaniscono i valori morali, si perdono i punti di riferimento e non si sa più dove sia il basso e l’alto, la destra e la sinistra, il centro e la periferia. Allora diventa vero e buono ciò che si compie per il solo fatto che lo si compie. O nemmeno ha più senso parlare di vero e di falso, di buono e di cattivo. Allora subentra una solitudine estenuante che ci rende incapaci di gioia e di speranza; che ci mostra l’altro come l’inferno da cui prescindere, o il nemico da abbattere; una solitudine a ripiegarci su noi stessi in una spirale di morte.

 

2. Noi pure non siamo indenni da questa cultura di mestizia e di brutalità.

E, tuttavia, a noi è data la grazia di sapere come uscire da questo carcere orrendo.

Il Verbo di Dio che si fa carne e diviene uomo come noi, eccetto che nel peccato, non è una fiaba che si perde in tempi indefiniti. Non è neppure soltanto una dottrina o una morale da apprendere. È un fatto insieme storico e carico di mistero.

Il Bimbo che nasce a Betlemme è Dio stesso — l’Onniscente, l’Onnipotente, l’Infinito, il Trascendente — che ha creato il mondo e lo guida provvidenzialmente. Il Bimbo che nasce a Betlemme è uno di noi che rivela il volto del Padre, che si offre sino alla morte di croce e che risorge rimanendo in mezzo a noi fino al chiudersi della storia, quando ritornerà nella sua gloria.

Lo si può rifiutare — “venne tra i suoi e i suoi non lo accolsero” —; lo si può ricevere come il regalo più bello e sconvolgente che Dio poteva offrirci; non losi può ignorare come se fosse una quisquiglia. Il tentare di ignorarlo segna già un oltraggio verso di lui.

Spesso ci comportiamo nei riguardi di Cristo con disinvoltura imperdonabile. Egli è l’amore di Dio che “sostiene tutto con la sua parola” e che si è “assiso alla destra” del Padre. Egli suscita nel mondo una divisione drammatica fra luce e tenebre. Se gli voltiamo le spalle, questa scelta segna la nostra dannazione: “il mondo non lo riconobbe”.

Ma se apriamo il cuore a riceverlo con tenerezza e gratitudine, allora ci genera a vita nuova. Ed è la gioia senza limiti e senza termine.

Preghiamo perché Gesù che nasce tra noi ci dia la grazia di una conversione piena. Amen.

Instagram
Powered by OrdaSoft!