Il prete, uomo di Dio e uomo degli uomini

Omelia nella Messa del Crisma

Como, Cattedrale, 13 aprile 2006

 

L’intero popolo di Dio è un sacerdozio santo che spinge a offrire i nostri corpi come sacrificio vivente e gradito a Dio. Tutti i credenti sono come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio.

E tuttavia prima e all’interno di questa comunità sta un sacerdozio tutto particolare che ha il compito di unire Dio, l’uomo e il mondo a modo di mediazione. Questo è il sacerdozio ministeriale che è proprio dei preti che hanno consacrato la vita per la salvezza dei fratelli a nome di Dio. Andate, battezzate. Io ti assolvo dai tuoi peccati. Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo e questo è il mio Sangue. E si potrebbe continuare a enumerare tutti i sacramenti che il prete è chiamato a celebrare.

 

1. Il punto centrale della visione cattolica del sacerdozio ministeriale è il Signore Gesù morto e risorto e agente in mezzo a noi. E’ lui l’unico e universale salvatore dell’umanità e dell’universo. A lui il prete si deve unire così da condividerne il pensiero, la volontà e la vita intera. Il prete è l’uomo di Dio. Anzi è la continuazione dell’umanità di Cristo che ci raggiunge nel nostro peccato e ci santifica. Non si tratta semplicemente di una funzione nuova assunta nella Chiesa: l’ordinazione sacerdotale muta realmente l’essere dell’uomo, rendendolo in modo singolarissimo immagine del Signore Gesù e abilitandolo a parlare e ad agire in dipendenza da lui.

Questa visione non solo funzionale, ma ontologica, stabilisce per il presbitero una spiritualità che deve conformarsi al Signore morto e risorto così da renderne presenti i misteri redentivi.

La preghiera si mostra così come l’atteggiamento fondamentale del prete. Se si stacca da Cristo o cancella Cristo dalla sua vita, il prete non riesce più a capire chi è, e ancor meno a operare secondo il comando di Cristo.

 

2. Se il sacerdote è il luogotenente del Signore Gesù, non si può dimenticare che il Redentore è lo sposo della Chiesa. Nel caso del prete, l’amore più immediato che deve avere e deve esprimere nei confronti del presbiterio e della comunità cristiana è la dedizione alla parrocchia o al settore pastorale che gli è affidato.

Una sorta di gelosia deve afferrare il prete per dedicarsi alle persone che gli sono affidate. E, ancor prima, una dedizione che è totale e senza riserve. Quando un sacerdote inizia a lasciarsi prendere dal disinteresse o dallo spregio nei confronti dei fedeli che gli sono affidati, è segno che deve cambiare mansione, o, più profondamente, è segno che deve riprendere lo stupore e la donazione davanti al Signore capo e sposo della Chiesa.

E ancor prima, l’affezione del prete deve rivolgersi ai confratelli nel sacerdozio. Quante volte abbiamo parlato di amicizia e – secondo le opportunità – di convivenza presbiterale? Perché spesso rimaniamo alle parole? Mancano le strutture? Mancano sempre le autorizzazioni episcopali? O manca la voglia?

 

3. La dedizione alla Chiesa locale non è che l’inizio della dilezione che deve espandersi all’intera cattolicità. Occorre che il prete in modo particolare ami e si dedichi alla Chiesa intera, includendone gli elementi strutturali – obbedienza compresa – e cogliendone le dimensioni misteriose che la rendono sacramento universale di Cristo. Certe critiche astiose. Certe snobbature. Certi distacchi nel cuore prima ancora che nei fatti: tutto ciò e altro rendono l’appartenenza alla Chiesa una sorta di punizione, e non una benedizione come è per volontà del Signore Gesù. Ciò non significa tendere a una unità astratta e perfetta; significa riconoscere le angolosità che ciascuno di noi porta, le rivalità che quasi istintivamente nascono in animo quando non si vedono attuati i propri desideri anche apostolici; significa accogliere la fatica della comunità, ma con la certezza che lo Spirito che anima la Chiesa diffonde nella famiglia della fede e nei singoli credenti. Anche la critica può essere utile o necessaria. Purché sia compiuta con la tendenza a far crescere lo spirito collaborazione e la gioia di appartenere a una famiglia di fede e di grazia. La gioia di appartenere alla Chiesa è uno dei segni più chiari della vita cristiana. Il fastidio che si può avvertire nell’appartenere alla Chiesa può essere l’anticipazione di un distacco interiore che prepara solitudine e umiliazione.

 

4. Se il prete è la longa manus di Cristo e la presenza del cuore del Redentore non può ignorare di vivere tra uomini – essi pure – bisognosi di salvezza.

Ciò implica il saper ascoltare le tribolazioni che si incontrano quando queste trovano un silenzio attento che presta attenzione. Ciò implica il dire le poche parole che hanno veramente significato di redenzione: le parole che gli uomini di buona volontà attendono. Ciò significa non conformarsi al mondo, ma convertire il mondo al Signore.

L’anelito che deve premere nel cuore del sacerdote è che i fratelli si diano a Cristo, raggiungendo così la gioia vera che il mondo non conosce.

 

Preghiamo Maria santissima perché ci renda consapevoli dei nostri doveri e delle nostre affascinanti possibilità dateci dal Signore, così che il mondo diventi accoglienza e letizia di Dio.   

 

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