Commemorazione del Cardinal Giovanni Colombo

Omelia nel primo anniversario della morte del Card. Giovanni Colombo

Asso (Co), 20 maggio 1993

 

Il mio Cardinale é stato Giovanni Colombo. Credo che non riusciate del tutto, voi della Parrocchia, ad intuire che cosa voglia dire per noi che gli abbiamo vissuto accanto, e che ora concelebriamo questa Messa, che cosa voglia dire il ricordo di quest’uomo: per noi é stato un maestro, un papà. Per noi é stato il più grande: l’uomo che abbiamo seguito con docilità, con senso di passione e di stima.

Mi ricordo un giorno in cui era in vena di confidenza: spiegò il punto nodale e che, per lui, era il centro di tutto la sua esistenza. Mi disse pressappoco così: sai cosa significa che il Verbo si è incarnato, che ha preso con sè una vita vera e l’ha portata fino allo morte, e poi è risorto ed è salito alla destra del Padre? Per cui noi, oggi, diciamo che Cristo c’è stato? C’è Cristo, esiste e regna. È il centro dell’universo. È lui il modello, l’esempio, per cui e stato fatto l’universo ed ogni cosa. Ho capito l’insistenza con cui ci invitava a non considerare il Signore Gesù come un oggetto, o una astrazione, o una realtà data. Ma a considerarlo come Colui che è capace di dare significato e valore a tutti i nostri pensieri, a tutte le nostre azioni.
Tanto che oggi si dice: il Signore Gesù. Cioè: Colui che regna. Colui nel quale tutto si sente come riassunto.

Ricordo che un giorno disse: “Io ho chiarito la vocazione quando, lungo tutto la vacanza, ho fatto un’ora di adorazione ogni giorno”. Era il suo modo di auscultare Cristo come un amico. Nel sua stemma avrebbe poi messo: “Veritas et Amor”, Gesù: Verità e Amore. Cioè (e insisteva, parlando di Padre Grandmaison che dava i consigli a Padre Breton): “Dovete conoscere Cristo fino a saperlo a memoria”. Conoscerlo così, dove alla Verità si accompagna l’Amore. E mi raccontava di quando si trovavano, giovani professori del Seminario a S. Pietro Martire, a Seveso, a fare le adorazioni serali e stavano lì, davanti al Signore, “per lasciarsi amare”.

E ci ha insegnato a vedere, soprattutto, la bellezza del creato. Parlava di scenari che il Signore dipinge davanti a noi, e li trovava anche nella letteratura e nella liturgia. Per lui, accostarsi a Dio significava cogliere la bellezza al suo sommo. Per cui, ogni autore che accostava, per quanto di vasto diceva ...era accettato per qualche aspetto cristiano che intravedeva. E ripeteva una frase che assicurava: “Ogni lembo di verità, da chiunque sia veduto, viene dallo Spirito Santo” e voleva dire anche: “Ogni tempesta viene dallo Spirito”. È interessante vedervi nei suoi intimi aspetti, la preoccupazione che aveva di cogliere tendendo l’orecchio, in una auscultazione attentissima, i fremiti dell’autore. “Perchè – scriveva – ogni autore o vibrava di Cristo o stava anelando a Cristo”. Ci ha insegnato a cogliere il lato che c’è, assieme, di bellezza, vissuto in meditazione cristiana e di orientamento cristiano. Da questo punto di vista, in quegli anni era un antesignano; lanciava ponti alla cultura, come insegnò a fare il Concilio. Anni in cui si veniva guardati di brutto quando si parlava di psicologia o addirittura di psicanalisi. Lui proseguiva con la pacatezza con la sicurezza dell’uomo che procede “passo dopo passo” ed ha sempre l’intento di trovare; o Cristo presente, o Cristo invocato. E, per ciò, anche nelle espressioni più pure di bellezza, e, con tutto ciò, lasciandosi istruire da questa scuola, “il vertice” lui lo toccava quando metteva le mani sulle cose più sacre.

E, da ultimo, voglio dire che del Cardinale Colombo non so scordare la passione per la sua diocesi, una passione che non si è mai concesso delle frange inutili, come dire… dei ghirigori scolastici. Viveva con realismo e dedizione in mezza alla sua gente. Quando tornava da una visita pastorale era magari molto stanco, ma anche molto radioso. E quando doveva parlare in pubblico, come si preparava! Perché aveva premura di essere guida sicura. Una volta mi confidò con schiettezza: “In diciassette anni di episcopato non ho mai avuto bisogno, una sola volta, di una rettifica”. Questo vuol dire che parlava chiaro. Non è che facesse della poesia (quante volte ci prendeva in giro, noi che eravamo intorno a lui). Mi ricordo che, rivolgendosi a me, mi chiamava “libera e bella”, perchè abbondavo nella aggettivazione. Lui invece cercava la parola distinta, il verbo esatto e l’aggettivazione calzante, ma sobria. Cioè: semplificava al punto che capiva anche un bambino quello che diceva e questo non è di tutti. Questa è la voce attiva di lui. E poi, non posso dimenticare che quando si é trovato davanti a delle proposte di incombenze ecclesiali sulla Chiesa universale, e di incombenze episcopali nazionali, la risposta era: “Mi tolgano la Diocesi, e allora farò. Ma, fin quando ho la Diocesi, la prima cura è la mia Diocesi”. Tanto che non usciva nemmeno, se non raramente, dai confini delle Diocesi. E, perciò, l’anello che portava era veramente il segno dello “sposalizio” per la Chiesa di Milano. Ricordo che diceva: “Quando la sera mi tolgo l’anello (l’anello era stata fatto con l’oro delle fedi di famiglia), lo bacio, ma prima benedico l’intera Diocesi!”. Non é mai stato un uomo che si è lasciato andare a facili sentimentalismi. Ma quale amore, quale dedizione, quale passione, quale entusiasmo aveva dentro, e che nascondeva dietro a un’ apparenza principesca e tuttavia tenera, dolce, capace di dono! Ecco chi è il Cardinale Colombo: compagno di strada e intercessore. Me lo sento vicino davvero, come un uomo che mi tiene per mano e che mi accompagna con la dolcezza, con la fermezza e con il cuore in pace.

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