Cinquant'anni di sacerdozio
Solennità del Corpus Domini
Como, Cattedrale, 28 maggio 2005
E’ una benedizione il celebrare il Cinquantesimo di sacerdozio nella festa del Corpo e del Sangue del Signore. Il ministero presbiterale è strettamente rapportato all’Eucaristia. Proprio l’Eucaristia è momento di bilanci nella vita. Momento in cui tornano alla memoria fatti e idee e sentimenti. E la memoria induce a chiedere perdono al Signore e a ringraziarlo per i doni che egli ha concesso. Non posso dimenticare i miei primi anni di insegnamento in seminario prima a Masnago e poi a Vengono. Non posso dimenticare lo struggimento e l’esaltazione che ha offerto il lavoro tra gli studenti in università e in gruppi giovanili. E poi la messa e le confessioni in duomo di Milano. E poi lo strappo dalla scuola per l’immersione in una vita pastorale del tutto ignota, a Carpi. E poi il ministero episcopale qui a Como, dove mi sono trovato come in una famiglia senza smancerie, ma robusta e dolce.
Qui c’è l’obbligo di ringraziare il Signore, senza evitare il pentimento per molte negligenze e inadeguatezze al compito che la Chiesa mi ha affidato. Tanto basti per lasciare qualcosa da dire nel testamento.
- Una gioia retrospettiva
Una parola di Gesù dice che egli educa rivelando delle vicende il cui senso pieno si capirà soltanto più avanti, quando i fatti saranno accaduti. “Vi ho detto queste cose perché, quando saranno avvenute, crediate”. E infatti: spesso non riusciamo a leggere il presente: abbiamo tra mano le meraviglie di Dio, e non ne avvertiamo il valore. Poi, quando si è più avanti negli anni, con i rimorsi, crescono anche le gratitudini. Siamo come analfabeti di noi stessi, del nostro presente: avvertiamo qualche lembo di significato di ciò che stiamo compiendo: ma il significato pieno ci verrà dato poi, quando avremo la possibilità di riandare a ciò che non c’è più e che pure ci ha gonfiato il cuore e acceso la mente.
Ciò è quanto dire che più si procede negli anni e più si intuisce il tracciato del sentiero per cui il Signore ci ha accompagnato: il Signore e gli amici - i più prossimi dei quali magari se ne sono già andati - e ci rimane dentro una nostalgia struggente e un’acuta e dolente attesa di rincontrarli in un abbraccio senza fine.
Messe, confessioni, predicazioni, funerali, momenti di familiarità intensa dove compaiono i parenti – soprattutto la mamma, un fratello e lo zio prete -, lungo ascoltare, cuori intrisi di gioia e oppressi sotto il peso di una mestizia che ha bisogno di speranza: anche quando sembra che la speranza manchi in chi ne parla.
L’eucaristia, opera formativa per eccellenza, ci richiama la memoria – il memoriale grato e confidente – della salvezza operata da Gesù e vivente in noi.
- Il bello ha ancora da venire
Una mèta raggiunta ne prepara un’altra da venire. Possiamo torcerci in auguri di lunga vita e di felicità. E, tuttavia, si avverte, con un fremito quasi di paura, la prosecuzione dell’esistenza. Di paura e di attesa.
Si avvicina il tempo delle canoniche dimissioni da vescovo nella mia piena autorità al compimento dei 75 anni; e il futuro può apparire fosco, ma fosco non è. Rimane da compiere il dovere a cui il Signore ci lega finché abbiamo forze da spendere. Con magnanimità. Con pacatezza. Con passione. Il lavoro apostolico non è fatto soltanto di attività e di organizzazione: è intessuto anche di preghiera, di studio, di riflessione, di ascolto per dire le poche parole che servono a ridare una fiducia.
Il morire può spalancarsi davanti come una voragine che ci affonda nel nulla. Può angosciare come l’incontro con un assurdo malvagio. Ma, in chiave cristiana, è il congiungersi con il Signore Gesù e il ritrovare le persone più care e avvertire l’animo che scoppia di letizia e cantare anche sulle sofferenze attraversate. Il morire è l’atto supremo di una libertà che si affonda nel mistero del Dio amore: un amarsi e un confondersi con Cristo: distinti quanto basta per amarsi.
Non sembrino, questi, pensieri tristi. Tanto vale guardare in faccia alla realtà e misurarsi con essa, sospinti dalla speranza che non delude e che il Signore Gesù ci dona accompagnandoci lungo il cammino terreno. Non a caso l’eucaristia è pegno e praelibatio della gloria futura. In un sacrificio che dura una vita e che si consuma con l’unico sacerdote e con l’unica vittima.
Non posso tralasciare la certezza che Cristo è già presente nella penombra dei segni sacramentali. L’incontro futuro sarà il disvelarsi del mistero della Chiesa e del pane e del vino consacrati. Gesù lo vedrò faccia a faccia, dopo le ombre e le immagini, nella luce.
E prego perché la Madonna della comunione mi accolga con tenerezza materna umana e permeata della presenza di Dio. Ne sento l’esigenza. Intanto lavoriamo cantando. Il futuro è nelle mani di Dio, robuste e dolci.