Risurrezione e speranza

Omelia nella Messa della Domenica di Risurrezione

Como, Cattedrale, 27 marzo 2005

 

Oggi la nostra attenzione si rivolge al fatto più sconvolgente della storia umana: al fatto della risurrezione di Cristo. La stranezza e quasi l’incredibilità di questo avvenimento sono tali per cui studiosi anche di grande vaglia hanno tentato di spiegarlo senza ricorrere a un intervento straordinario di Dio. Hanno affermato non la successione dall’accadimento alle apparizioni di Cristo ai discepoli e alla fede; si sono, invece, sforzati di spiegare la risurrezione come una sorta di fabulazione degli apostoli e dei primi testimoni. La successione degli eventi non sarebbe il fatto storico, le apparizioni e la nascita della fede; si partirebbe, di contro, dalla fede, per estasiarsi di fronte a presunte visioni che sono state poi interpretate come avvenimento reale.

Ed ecco, invece, ciò che Pietro dice ai giudei nel primo annuncio dell’esperienza del risorto: “Essi lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”. Si tratta di una citazione tra molte che potrebbero essere recate dal vangelo, dagli Atti degli apostoli e dalle lettere dei primi agiografi.

 

Che cosa la risurrezione non è

Tenendo conto che siamo in presenza di un fatto unico nella storia – un fatto che ha le sue ripercussioni constatabili, ma affonda le sue radici nel divino -, possiamo avvicinarci alla comprensione del mistero di questo giorno iniziando a eliminare alcuni concetti devianti.

La risurrezione non può essere confusa con una vita terrena che continuerebbe senza termine e segnerebbe una povera vittoria sul tempo. E’ quanto ha compreso il procuratore Festo il quale, a Paolo che doveva essere inviato a Roma per essere giudicato, afferma che alcuni giudei “avevano con lui [Paolo] alcune questioni inerenti la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita” (Atti 25, 19).

La risurrezione non è nemmeno da identificare con l’immortalità dell’anima di un uomo – di Gesù, nel caso –, il cui corpo sarebbe abbandonato alla decomposizione. Una simile concezione troverebbe una pezza d’appoggio almeno nel Libro della Sapienza, riguardante tutti gli uomini; è assolutamente estranea alla mentalità degli apostoli di fronte al risorto.

La risurrezione non è nemmeno da confondere con un qualsiasi richiamo alla vita, rivolto a un morto, come sarebbe il caso del figlio della vedova di Naim e di Lazzaro. Qui ci troveremmo di fronte a un miracolo che non sembra toccare le corde più segrete della gioia umana, se si pensa che la morte è un castigo del peccato, e comunque il risorto deve ancora morire.

No. La risurrezione del Signore Gesù è una novità assoluta da considerare con timore e festa trepidante. Il timore, del resto, è il primo sentimento che nasce nell’animo degli apostoli turbati dagli avvenimenti della Domenica di Pasqua.

 

Che cosa è la risurrezione

La risurrezione appare così in tutta la sua originalità e unicità. Il sepolcro vuoto è il segno del risveglio del crocifisso  che sulla croce ha emesso lo Spirito ed è entrato nel silenzio della morte per uscirne con l’alleluia della vita oltre la morte: una vita umana, ma raggiunta dalla gloria di Dio. Con il sepolcro vuoto sono da considerare le apparizioni alle donne, a Pietro, agli Undici, a Paolo, alle più di cinquecento persone alcune delle quali vivono ancora mentre Paolo scrive.

Si noti: in alcuni passi si dice che Cristo è stato strappato dalla morte per iniziativa del Padre; in altri passi si afferma che è lo stesso Signore Gesù, per forza propria, a uscire dal sepolcro. Le apparizioni, poi, non sono descrivibili come visioni, ma hanno il timbro del mostrarsi, del lasciarsi vedere da parte di Cristo; e in ciò viene riconosciuto. In questo modo cade la diffidenza dei testimoni i quali ammettono con difficoltà la meraviglia di Dio.

Il risorto è lo stesso crocifisso che ha provato l’oltraggio del morire e dell’essere quasi abbandonato dal Padre, ma adesso si presenta come un uomo che è lo stesso della passione ed è nuovo nella redenzione. Giovanni, dopo aver vissuto del tempo con il Signore Gesù, entra nel sepolcro da cui era stata tolta la pietra; “vide e credette”: probabilmente vide il sudario ancora intatto nella sua forma avvolgente il cadavere, ma vuoto.

Si inizia a entrare nella logica della risurrezione quando si pensa che “Dio consacrò in Spirito santo e potenza Gesù di Nazareth” il quale entra nella gloria e siede alla destra del Padre: vale a dire, condivide la magnificenza e la capacità di salvezza di Dio stesso.

Così Cristo “è costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti”.

 

I frutti della risurrezione

Il Signore Gesù risorto si pone così come l’unico salvatore degli uomini e del cosmo.

La Chiesa, come sacramento di salvezza, nasce dal suo costato di crocifisso morto per noi e per tutti. La Chiesa si rivela così quale strumento di redenzione e comunità di fedeli che, nel Signore Gesù, trovano la salvezza eterna: “chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome”; e “se siete risorti con Cristo … la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio”.

Gesù ci viene presentato come “la nostra vita” e il pegno della gloria eterna. I peccati sono rimessi. La vita di grazia ci è donata con lo Spirito. La gloria più sfolgorante ci avvolge unendoci al Salvatore. Raggiungiamo così una esultanza non problematica che ci proietta negli ultimi tempi, quando, alla risurrezione dei morti, noi saremo simili a Cristo, ci uniremo ai fratelli redenti, ci muoveremo in un cosmo rinnovato.

 

La vita cristiana, alla luce della risurrezione, non ci esime dalla sofferenza e dalla fatica. Ci dona, però, una sofferenza e una fatica che sboccano nella gloria della beatitudine. Con Maria e i nostri santi.

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