Perché la tragedia di questi giorni?

Omelia nella Messa in occasione della Giornata Mondiale per la pace

Como, Cattedrale, 1 gennaio 2005

 

Riconosciamolo: le reazioni che si sono manifestate di fronte alla tremenda disgrazia di questi giorni, il maremoto nel Sud est asiatico, quasi hanno evitato del tutto di porsi l’interrogativo del senso ultimo dei fatti, del destino dell’uomo. Noi credenti non possiamo scansare un problema come questo e limitarci all’orrore che avvertiamo diffuso. La tragedia che ci fa inorridire è, dunque, avvenuta invano?

Ammettiamolo: noi che tentiamo di vivere la fede avvertiamo la tentazione di difendere Dio dalle imprecazioni, come se Dio avesse bisogno delle nostre apologie, o ci ritiriamo in un canto, vergognosi per una sciagura immane che sconvolge i nostri piani e non sappiamo spiegare.

Al di fuori della fede sembra logico togliere lo sguardo dalle scene raccapriccianti di morte provocata dall’ onda tsumani . Tentare un accenno di spiegazione richiede, poco o tanto, un appello a Dio, appello  che disturba il nostro quieto vivere: quieto e scolorato.

O ci si affida a un fatalismo secondo cui ciò che deve capitare capita, e non c’è verso di cambiare direzione  alla storia e alla vicenda di ciascuno di noi. Sembra di vivere sotto una maledizione che è già decisa non si sa da chi, e contro la quale non vale erigersi per protestare o per mutare le cose.

Si comprende così il ricorso agli scongiuri. Sono una alternativa alla preghiera: come se conoscessimo formule magiche e possedessimo gesti infallibili che piegherebbero  una forza cosmica anonima. Quando si toglie di mezzo Dio, Cristo e la Chiesa, si finisce per rifugiarsi nella superstizione e nella magia.

O si bestemmia e si giunge a un ateismo che sembra di una logica stringentissima : o Dio vuole intervenire per evitare i mali gravissimi della storia e della vita di ciascuno di noi, e non riesce : ma allora che Dio è? Quale onnipotenza lo qualifica? Oppure  Dio può, ma non vuole intervenire; ma allora c’è da chiedersi quale Dio sia un Dio che vuole positivamente le sciagure che ci sballottano come fuscelli in cima a onde o portati da un vento perverso.

Certo, bisogna chiedersi che cosa fare di fronte ai disastri provocati dal  maremoto. Ma, siamo leali fino in fondo: perché intervenire in aiuto a fratelli che moriranno come noi e scompariranno nel nulla o vagoleranno nell’assurdo?

Chi crede non può evitare di porsi il problema del perché  avvengano questi fatti luttuosi. Intuisce, però, che dietro le urla di dolore e di morte, sta un mistero, che forse non riusciremo pienamente a sciogliere collocandolo dentro uno schema unicamente razionale sia pure elaborato con una  scientificità che si giudica onnipotente.

Chi crede sa che il Dio cristiano non è un Dio capriccioso e vendicativo che si diverte e far soffrire i suoi figli, ad abbattere case e città, ad ammorbare l’aria  di   cadaveri in putrefazione, a inquinare l’acqua perché la pena  vada oltre  i giorni della disgrazia.

Un avvio di spiegazione può essere identificato nel peccato. Non  per mettere in relazione stretta ed esclusiva il singolo peccatore con quello che si ritiene essere un castigo di Dio. La colpa va vista,  piuttosto, come una riprovazione comunitaria di Dio: un rifiuto che si estende a tutta l’umanità e che comprende anche il cosmo: un rifiuto che provoca ripercussioni inattese. Lo stesso peccato originale con le sue conseguenze non è in qualche modo realtà constatabile?

Il credente è convinto che Dio permette queste sciagure per una finalità pedagogica, per svolgere un compito educativo: per togliere all’uomo  la iattanza  di chi  si crede creatore e dominatore del mondo; per guidarci verso la grazia della consapevolezza del male che la nostra libertà ha compiuto e sollecitarci a piegare le ginocchia per domandare perdono e dire grazie, nonostante tutto.

Il dolore innocente è l’acme dello scandalo del mondo: perché far soffrire i senza colpa personale?

Qui si  intravvede che l’enigma del dolore, il mistero della sofferenza e della morte, va ricondotto all’enigma e al mistero di Cristo che muore sulla croce, unico innocente tra gli uomini e Figlio di Dio. Qui la meraviglia di un Dio fatto uomo che soffre e muore ci fa capire che il dolorare e l’estinguersi  può diventare modo di amare e salvare i fratelli.

Allora ci si accorge che l’aiuto agli altri - la tanto ripetuta solidarietà – ha motivo di esserci perfino con gli estranei e  i nemici  perché la vita di ciascuno è ghermita e trasformata da Cristo risorto e lo stesso cosmo prepara i cieli e la terra nuova, di là da tutte le delusioni e da tutte le controprove.

Maria ci aiuti a comprendere il dolore, Ella che è voluta essere presente sotto la croce per soffrire e anticipare la morte come il Figlio che Ella piangeva sommessa.

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