Epifania, il dinamismo della fede

Omelia nella Messa della Solennità dell'Epifania

Como, Cattedrale, 6 gennaio 2005

 

La festa dell’Epifania ci presenta in modo globale il mistero del Verbo che si fa carne e che si manifesta e si propone a tutti gli uomini. Se si vuole, è la festa della fede considerata non come qualcosa di esterno che si aggiunge al nostro essere, ma come la nostra umanità stessa trasformata dallo Spirito nel Signore Gesù e chiamata a diffondersi in tutto il mondo.

Fede e conversione

Abbiamo insistito in questo periodo natalizio nel sottolineare che la rivelazione di Dio non è soltanto una festa di pensieri, ma l’agire e la stessa realtà del Signore Gesù che ci chiama. I magi hanno visto sorgere la sua stella e sono venuti per adorarlo.

Da notare è questo venire a riconoscere e a congiungersi con il Signore nato a Betlemme e vissuto in Palestina e vivente in mezzo a noi.

Ciò dice che non basta accogliere passivamente il Salvatore del mondo; l’aprirsi a Lui implica l’impegno di tutto il nostro essere che si rende dipendente e docile, e si lascia orientare verso di Lui. Diventiamo figli nel Figlio perché l’io più profondo del nostro essere - il cuore direbbe Pascal - è impegnato in questa decisione che reca consolazione e pace, ma non è senza fatica: una fatica che via via diviene sempre più spontaneità gioiosa.

Emettere l’atto di fede implica il gioco dell’intelligenza che tenti di capire quanto è possibile il mistero vivente di Cristo. Dobbiamo essere certi di essere nell’errore, se ci illudiamo di aver compreso il mistero. E, tuttavia, l’aderire al Signore chiede una conoscenza sempre più approfondita e ampliata: fino a capire il perché non possiamo e non dobbiamo capire; fino a sperimentare che siamo chiamati più ad amare che a comprendere: “Si Deum comprehendis, non est Deus” .

Il credere non coincide con un sentimento magari dolciastro il quale ci getta in una vertigine che può essere il vuoto. Chiede la fatica del pensiero che riflette sulla immensità di Dio e del Dio che si incarna. Fino a raggiungere il “gaudium de veritate".

Poi inizia lo stupore ed il silenzio. Si parte con la pretesa di incasellare l’infinito di Dio nelle nostre categorie mentali, e gradatamente ci si accorge che non siamo noi a capire Lui, ma è Lui che ci abbraccia e ci coinvolge e ci include e ci trasforma. Allora la conoscenza può diventare puro sguardo che tace e si lascia amare, mentre il cuore sobbalza e si inarca in una libera decisione che è razionale, ma che, frutto della Grazia, entra poco o tanto nella sfera mistica.

Allora ci si accorge che la fede non può crescere e stare senza uno sforzo continuo e crescente verso la piena conversione. E siamo interpellati in tutte le nostre facoltà e in tutti i nostri settori di esistenza: dall’autodominio delle passioni all’amore per il prossimo così da raggiungere la statura di Cristo in noi.

Fede e missione

La festa dell’Epifania è la festa delle genti: tutti sono chiamati in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo e a essere partecipi della promessa per mezzo del Vangelo. I credenti sono radunati attorno al Signore Gesù e vengono da lontano: noi proponiamo il mistero della Grazia di Dio: rendiamo, cioè, fattiva la volontà di Dio che propone a tutti la salvezza.

Una simile responsabilità missionaria - riguardante popoli lontani, o vicini di casa – non nasce da un imperativo di Cristo immotivato e avulso dalla realtà nuova creata in noi dallo Spirito; è inscritta nella stessa creatura nuova unita e trasformata in Cristo. Dobbiamo essere missionari non soltanto perché il Signore Gesù ce lo comanda - andate, predicate… -, ma perché non possiamo conservare la fede, se non la comunichiamo.

E noi sappiamo che Dio vuole salvare tutti. Ma la missione a cui siamo chiamati non può ridursi a una supplica svagata a Dio perchè Egli compia la Sua volontà e redima tutti, mentre noi ci culliamo nelle nostre negligenze. Certo, Dio compie la Sua volontà, ma vuole la nostra libera collaborazione, perché la verità e la salvezza siano offerte a tutti.

Si tratta di rendere esplicita quanto è possibile la fede: una fede incarnata nel quotidiano; una fede che recupera e trasforma l’umano; una fede che ci fa vivere in un mondo nuovo che è l’universo di Dio umanissimo.

Va da sé che ciascuno di noi deve essere missionario secondo modalità proprie. Ma non si può essere cristiani, se non si spalanca l’animo alla mondialità, che ha bisogno di pane e di consolazione, ma anzitutto necessita di motivi per vivere e per non disperare.

Oggi è frequente un blocco della missione dovuto alla paura di offrire un cristianesimo fondamentalista. Non si può dimenticare, tuttavia, che dall’altro lato deve premere anche la paura di non comunicare più nulla. E il motivo è che si è rinnegata la propria vita cristiana. Il dialogo sarà sempre necessario per capire la situazione in cui è l’altro e siamo noi; e, però, il dialogo non può essere esercizio di conversazione da salotto che conclude con una bicchierata o con una pacca sulle spalle, se conclude . Il dialogo di Cristo è finito sulla Croce. E se c’era un dialogante era Lui.

Ed è saggio l’identificare ciò che unisce noi credenti e gli altri, ma è pretendere troppo il concludere che ciò che unisce non lasci più spazio a ciò che divide, e la proposta della fede – la missione- si trasforma in mutismo vergognoso e titubante. Altra cosa sono i rapporti politici e altra cosa le certezze di fede che fondano la vita e si misurano sulla verità di Dio

Si tratta di recuperare una identità cristiana dolce e solida, che si renda capace di accogliere il positivo che c’è in ogni cultura, ma non si lascia fagocitare da ciò che non è riconducibile a Cristo. Il mondo è intriso anche di errore e di male a cui il cristianesimo non può adattarsi. Il volere il bene dell’altro non significa dargli ragione quando il suo pensiero e la sua vita non corrispondono al Vangelo. Così come noi stessi siamo sottoposti ad un duro lavoro di cambiamento, quando ci impegniamo nel dialogo e nella missione. La nostra conversione è al Signore Gesù, non al mondo. La nostra fedeltà è al Vangelo, non alle mode culturali del momento ( non sublimi, del resto, e abbastanza meste ).

Ci sostiene in questo impeto missionario la realtà della Chiesa: il trovarci insieme, pochi o tanti che siamo, con la certezza che il Signore Gesù è tra noi e si serve di ciò che non esiste - di noi come mediazione - per compiere le sue meraviglie , e annuncia una proposta che appare stoltezza e scandalo per coloro che si perdono, mentre è sapienza e potenza che nascono da Cristo.

Maria, Regina delle missioni, immagine preclara dell’Epifania, ci assista.

Instagram
Powered by OrdaSoft!