Memoria, presenza, profezia

Solennità del Corpus Domini

Como, Cattedrale, 13 giugno 2004

 

1. Celebrando l’eucaristia noi non facciamo il ripasso di una nozione, non studiamo un racconto passato, non vaghiamo con la fantasia in un momento della storia che si è sciolto per sempre e che ora rimane soltanto come rammemorazione. Come il cristianesimo, di cui è il cuore, l’eucaristia è un fatto, un avvenimento, un accadimento che, capitato un giorno e in un luogo preciso, si rende presente là dove viene celebrato il rito istituito da Cristo.

Siamo di fronte all’atto di amore più alto della storia. Il Figlio di Dio, resosi carne e sangue e intelligenza e libertà come noi uomini, ha voluto caricarsi le spalle dei nostri peccati e offrirsi a modo di dono per ottenerci la gratuitissima misericordia del Padre che su Cristo manifesta non tanto la giustizia, quanto la dilezione riprovata. Questo fatto circoscritto entro le coordinate del tempo e dello spazio può e deve essere reso presente lungo la storia perché noi uomini non rimaniamo senza ragione di vivere.

 

2. La parola del Signore Gesù è tra le più lucide: “Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo”; “Questo è il mio Sangue, il Sangue dell’alleanza versato per molti”. Il mistero arcano della presenza di Cristo che ci raggiunge non è una intenzionalità vaga che rimane sul piano del desiderio. Egli è il Mediatore della nuova alleanza che con uno Spirito eterno offre se stesso senza macchia a Dio e purifica la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente. I gesti austeri e affabili che il prete compie in persona Christi non sono ghirigori disegnati nel vuoto: sono l’attuazione di un comando – “Fate questo in memoria di me” – che il Signore Gesù ha dato ai suoi apostoli perché l’intera comunità ecclesiale formasse Uno solo quasi fosse il Corpo stesso di Cristo che si completa e si amplia per raggiungere là dove esiste un uomo desideroso e bisognoso di Dio.

Siamo gli attori di questo dramma dolcissimo. Siamo gli spettatori che il Sacerdote eterno unisce a sé e rende una cosa sola nella legge nel capire e nel volere e ancor prima nell’essere. Qui il segno sacramentale si fa esile fin quasi a diventare immediatezza. Ma ci intride talmente da diventare nostro cibo e nostra bevanda.

E non solo rimane lungo il periodo della celebrazione della Messa: rimane per essere visitato e adorato in ogni momento della nostra esistenza, quando vogliamo piangere con significato umano e quando abbiamo il cuore che canta per una felicità inattesa.

 

3. L’eucaristia ci accompagna lungo tutto il periodo della nostra vita terrena. E’ anticipo della comunione che si avrà oltre il tempo: quando Gesù non berrà più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrà nuovo nel regno di Dio.

Il che è quanto dire che la Chiesa e l’eucaristia, di cui la Chiesa è il centro e il punto più alto, non durerà, terrestre, per tutto il tempo umano e cosmico. La Chiesa è orientata a invocare il Signore Gesù, finché egli venga: quando non vi saranno più segni opachi che uniscono e che dividono, quando non vi saranno più cerimonie che svelano e celano; quando non vi saranno più allusioni a una realtà misteriosa lontana, ma cadranno parole e gesti e rimarrà lo stupore silenzioso ed eloquentissimo del guardare negli occhi il Signore Gesù e la meraviglia di trovarci tra gli angeli e i santi, compresi i santi che hanno vissuto tra noi un brano di strada. E sarà gioia piena. La gioia che aspettiamo e che chiediamo.

Instagram
Powered by OrdaSoft!