Un impegno sempre attuale:
educare alla pace

Omelia nella Messa in occasione della Giornata Mondiale per la pace

Como, Cattedrale, 1 gennaio 2004

 

Per volontà del Santo Padre Giovanni Paolo II, il quale vuole continuare la tradizione creata da Paolo VI dal 1968, celebriamo oggi, pregando, la Giornata per la pace all’aprirsi del nuovo anno civile. Il papa insiste dicendo: “La pace resta possibile… la pace è anche doverosa”.

Vorrei semplicemente fermare l’attenzione su alcuni brani del messaggio del Sommo Pontefice. Procedo dal minimo indispensabile verso il massimo possibile per una educazione alla pace che non sia disinvolto pacifismo, ma austero e appassionato impegno che ciascuno di noi deve assumere.

 

Legittima difesa

Il papa richiama “il divieto del ricorso alla forza” contenuto nel cap. VII della Carta delle Nazioni Unite,  il quale “prevede due sole eccezioni. Una è quella che conferma il diritto naturale alla legittima difesa … dentro i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità. L’altra eccezione è rappresentata dal sistema di sicurezza collettiva, che assegna al Consiglio di Sicurezza la competenza e la responsabilità in materia di mantenimento della pace, con il potere di decisione e ampia discrezionalità”.

Giovanni Paolo II si sofferma, poi, sugli atti di terrorismo, che descrive come “conflitti in cui agiscono anche enti non riconducibili ai tradizionali caratteri della statualità”. Ammette che è essenziale il “pur necessario ricorso alla forza” e si esprime in termini di “doverosa lotta” contro il terrorismo.

Ciò fa giustizia di molte utopie sempre tentate di trasformarsi in oppressioni. Ciò offre anche una chiave interpretativa degli interventi del Santo Padre circa la pace e la guerra.

 

Un nuovo ordinamento internazionale

Il messaggio papale insiste nel ricondurre i possibili o reali conflitti entro gli ambiti di diritto internazionale: “l’umanità di fronte a una fase nuova e più difficile del suo autentico sviluppo, ha oggi bisogno di un grado superiore di ordinamento internazionale”.

In proposito richiama il compito che è proprio della Organizzazione delle Nazioni Unite, senza nascondersi il senso di logoramento e di inadeguazione di questa struttura alla situazione mondiale contemporanea. Il principio che sta alla base di queste istituzioni è la convinzione che si giunge a un rispetto reciproco tra gli Stati soltanto se i rapporti tra essi sono normati dal Diritto: “la pace e il diritto internazionale sono intimamente legati tra loro: il diritto favorisce la pace”. Anzi, “le vicende storiche insegnano che l’edificazione della pace non può prescindere dal rispetto di un ordine etico e giuridico, secondo l’antico adagio: ‘Serva ordinem et ordo servabit te’ (conserva l’ordine e l’ordine conserverà te). Il diritto internazionale deve evitare che prevalga la legge del più forte. Suo scopo essenziale è di sostituire alla forza materiale delle armi la forza morale del diritto, prevedendo appropriate sanzioni per i trasgressori, nonché adeguate riparazioni per le vittime. Ciò deve valere anche per quei governanti i quali vìolano impunemente la dignità e i diritti dell’uomo, celandosi dietro il pretesto inaccettabile che si tratterebbe di questioni interne al loro Stato”. E il Santo Padre aggiunge: “Il diritto internazionale è stato per molto tempo un diritto della guerra e della pace. Credo che esso sia sempre più chiamato a diventare esclusivamente un diritto della pace, concepita in funzione della giustizia e della solidarietà”.

A questo scopo il Messaggio per questa giornata rimanda ancora una volta a quello che possimo chiamare la “legge naturale” o, comunque, il rispetto assoluto della persona singola e associata. Icasticamente Giovanni Paolo II afferma con forza crescente, che i principi universali, i quali “sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati”, devono tener conto dell’unità e della comune vocazione della famiglia umana: “pacta sunt servanda: gli accordi liberamente sottoscritti devono essere onorati. E’ questo il cardine e il presupposto inderogabile di ogni rapporto fra le parti contraenti responsabili. La sua violazione non può che avviare una situazione di illegalità e di conseguenti attriti e contrapposizioni, che non mancherà di avere durevoli ripercussioni negative. Risulta opportuno richiamare questa regola fondamentale, soprattutto nei momenti in cui si avverte la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto”.

Si nota con evidenza la necessità di riformare la Organizzazione delle Nazioni Unite e soprattutto il Consiglio di Sicurezza, che sono strutture internazionali originate dopo una guerra ormai lontana e per iniziativa dei vincitori e ai potenti del momento. Accanto all’equità da rendere possibile, occorrerà dare una sempre maggiore autorevolezza morale oltre che incisiva dal punto di vista civile: “Occorre che l’Organizzazione delle Nazioni Unite si elevi sempre più dallo stadio freddo di istituzione di tipo amministrativo a quello di centro morale, a cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una ‘famiglia di nazioni’“.

 

La civiltà dell’amore

In questo contesto trova il suo pieno significato l’azione dei credenti e della Chiesa.

Non basta bloccare i conflitti. Bisogna riappacificare gli animi. La pace va raggiunta e ricevuta nel cuore prima che sia attuata e magari imposta.

Ciò è quanto dire che alla pace occorre educarsi cogliendo dalla rivelazione di Cristo le linee che caratterizzano l’atteggiamento del credente. Il quale non è chiamato soltanto al rispetto degli altri -  a cominciare dai più innocenti e deboli -, ma anche alla animazione del diritto che riconcili in una fraternità la quale superi ogni contrasto e ogni indifferenza. Quando si tratta di passare dalle misure repressive e punitive alla formazione di autentici operatori di pace, occorre considerare con attenzione le motivazioni soggiacenti ai fenomeni di violenza. Occorre ancora che la giustizia – la quale deve pur trovare la propria attuazione – sia superata e completata dalla carità. L’osservazione non dice che la pace debba essere raggiunta in qualsiasi modo. Essa non è il bene sommo a cui orientare anche la salvezza eterna. E va costituita sul primato dell’amore che, per una ragione più premente per il cristiano, esige che si dia a ciascuno il suo e oltre. Cristo è il re della pace.

 

Ciascuno assuma le proprie responsabilità a cominciare da se stesso, dall’ambito familiare, dall’ambiente di lavoro e così via amplificando il raggio di azione per operare la pace su scala universale.

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