La novità perenne della Pasqua

Omelia nella Messa della Domenica di Risurrezione

Como, Cattedrale, 31 marzo 2002

 

1) Sembra chiusa bruscamente la vicenda del Signore Gesù tra noi: una delusione. Speravamo in un regno di potenza che egli, invece,  non era venuto a donarci. Speravamo in una vittoria squillante esibita tra gente sazia che non coglie la novità del mistero della vita nuova. Speravamo che ponesse resistenza alla passione e al morire solitario e quasi disperato. Speravamo che si mostrasse redivivo e non più morituro: principio universale di salvezza. Speravamo che apparisse come una novità e aprisse i cieli e colmasse la terra di esultanza. Speravamo che ci portasse con sé nella risurrezione dai morti. Speravamo che si squarciassero le tenebre pesanti della nostra disperazione: di noi che lo abbiamo ucciso appendendolo a una croce. Speravamo. Tutto concluso?

Ed ecco l’annuncio che reca un dono il quale si pone oltre ogni attesa. Dapprima si mostra alle donne, poi a Pietro e Giovanni, poi ai dodici spaventati, poi a più di cinquecento fratelli dei quali alcuni vivono ancora tra noi.

 

 

2) Il Padre lo chiama alla vita gloriosa e il Signore Gesù dona il suo Spirito per rinnovare la terra. Anzi, egli si desta dal sonno della morte e inizia una nuova fase di esistenza: il sepolcro è vuoto perché è lo stesso sepolcro a spalancare l’età dell’alleanza nuova e definitiva.

Vogliamo scoprire l’essenza del cristianesimo? Ebbene, non è soltanto un complesso di dogmi; non è soltanto un sistema di imperativi morali; non è una sorta di fabulazione che ci incanta e ci delude e ci irrita. Il cristianesimo è originariamente un fatto, un avvenimento; anzi, una persona che si colloca tra noi come motivo della nostra liberazione dal peccato  e della nostra nuova compagnia con Dio e con i fratelli. Uno che risorge perché è il Verbo di Dio. Allora accolgo anche la dottrina e l’etica. Uomo-Dio: nulla di meno. Non so che fare di profeti che parlano a nome di e ci comunicano la loro disillusione.

Voglio vedere e toccare Cristo nella sua Chiesa. Scorgerlo nel mistero di una Presenza che mi accompagna fino al termine della vita e dopo il tempo terrestre.  Questa esperienza realistica è il cristianesimo spesso sognato come un’astrattezza lontana. Chiamare per nome il Signore Gesù. Sentirmi da lui chiamare per nome e iniziare a capire chi sono davvero in una vicenda di dilezione a lui e ai fratelli.

 

3) Se uno ha vinto la morte perché è il Dio con noi, allora devo concedermi soltanto a lui; posso avere soltanto il culto della sua personalità. Vanno infranti tutti gli idoli. Rimane unicamente questa adorazione che mi fa vincere  il mondo con la fede. Ma questa accoglienza mi coinvolge nel perdono dei peccati, nella vita di grazia che prepara la gloria, nel dar significato anche al dolore che rivela il modo in cui Dio fatto uomo ama.

Inizia il canto di gioia. Si perde il diritto alla disperazione. La proiezione missionaria nell’altrove e nel futuro diviene obbligo e calda possibilità. Inizia una gioia senza tramonto.

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