Introduzione nel reale

In modo più completo e forse più semplice si può dire che l’educazione è l’introduzione di un soggetto umano nella realtà.

Non si tratta semplicemente di condurre l’alunno ad accettare la fraternità in cui è inserito: questa finalità è data dal fatto stesso che l’educando vive dentro una compagnia intellettuale e in continua evoluzione, dove ciascuno è condotto e sollecitato a identificare e a scegliere il proprio destino. La scuola è porta che apre sul mondo non soltanto perché aiuta a capire le cose che sono scritte nei libri di testo, ma anche e soprattutto perché abilita all’incontro con persone che magari non si conoscono e derivano da contesti culturali diversissimi da quelli in cui la scuola opera.

Così il lavoro educativo apre a conoscere, ad apprezzare e ad amare anche coloro che non si conoscono, o magari all’inizio si contrastano. Essa è soglia che si spalanca sull’umanità.

Se si vuole, in termini cristiani, l’educazione non è mai semplice dipendenza dall’educatore; è anche abilitazione al colloquio amicale e collaborativo con coloro che si incontrano; è momento in cui si supera un qualche egocentrismo innato del soggetto umano il quale si sente sospinto a incontrare simpaticamente coloro che accosta sui banchi di scuola.

Non è impresa di poco conto questo spalancarsi all’altro per aiutarlo ed essere da lui aiutato. L’alternativa è una sorta di isolamento alla Robinson Crusue, dove chi inizia il mondo deve accogliere le carabattole che riesce a salvare dalla barca naufragata e tirare a riva la compagnia non eccessivamente promovente di “Venerdì”.

Detto diversamente: l’educazione segna l’assumere cosciente, critico e simpatico della realtà in cui si vive. In un contesto in cui gli alunni sono un po’ sempre alla ricerca di un “altro mondo” in cui vivere per esprimere un’esistenza riuscita, non sembra cosa di poco conto il riconciliarsi con le persone che vivono gomito a gomito, con i paesaggi che uno si trova attorno, con i lavori che si vede aperti alla sua fatica e al suo entusiasmo. Si dica pure che l’educazione è l’arrivare ad accettare se stessi senza detestarsi – un ideale! – e a raggiungere la letizia di chi si trova al proprio posto rimanendo nel posto in cui è, senza sognare continuamente e inanemente di trovarsi chissà dove per poter iniziare un’impresa che gli è, invece, a portata di mano. Anche sotto il profilo cristiano questo concetto di educazione esprime la decisione della santità: ogni uomo deve amare il proprio volto, i propri sentimenti, le proprie capacità e perfino i propri difetti; ogni uomo deve cavare una vita cristiana a tutto tondo nella situazione in cui il Signore l’ha posto perché imiti il Redentore. In termini più modesti e umani, santità ed educazione si sovrappongono.

Questa impresa di fraternità vale soprattutto quando non sono soltanto dei soggetti singoli che cambiano contesti di vita: vale soprattutto quando popoli interi, per diversi motivi – e non sempre validi – cambiano habitat, istruzione, usi civili, ecc.

Insorge qui tutto il problema dell’integrazione razziale, soprattutto specialmente in un periodo come il nostro dove gli spostamenti sono frequentissimi e raggiungono livelli di massa, e dove popoli interi sono costretti a cambiare stile di pensiero e di vita per adattarsi alle nuove culture che accostano. Sembra inutile recare cifre anche soltanto percentuali per mostrare la gravità del problema oggi e in Italia e nell’Europa centrale. Forse qualche decennio fa si poteva rendere meno grave il problema della comprensione e dell’aiuto reciproco tra popolazioni di diverse civiltà che si mischiavano: oggi l’impegno si impone anche da noi in modo inevitabile e richiede uno sforzo che integra e corregge le abitudini dei singoli popoli. La scuola si rivela così come luogo di incontro e di aiuto reciproco tra le culture. Senza che alcuna cultura si avverta come votata a scomparire nei valori autentici che reca.

Si apre qui la questione della scuola come comunità educativa anche sul piano sociale e religioso.

 

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