Preti e laici: il gioco dei quattro cantoni

Molti ricordano la figura del prete diciamo pre-conciliare: veste talare magari pataccata, rasatura della barba fatta a solchi e a cespugli, messa celebrata alla mattina presto, prima che si andasse al lavoro, scarpe sbrecciate e non proprio brillanti; lo si trovava in chiesa per la messa o la visita all’Eucarestia, all’oratorio per curare i ragazzi parlando di Dio, per le strade polverose dei paesi mentre andava a trovare i malati, confessionale dove aspettava a lungo, poiché lo stile di Dio non è quello di rincorrere i peccatori, ma di lasciare che percorrano la strada del male finché sono stufi e avvertono la nostalgia della pace di Dio, qualche scappellotto ai ragazzi della Prima Comunione e della Cresima, il ritrovarsi tra i giovani che si stavano preparando alla consacrazione sacerdotale per parlare della salvezza eterna: della paura dell’Inferno anche, sissignori, la biblioteca stipata di libri di devozione, le prediche che forse presentavano qualche aspetto di monotonia sull’insistenza del peccato, del perdono di Dio e della preparazione alla vita eterna ecc. Cose note e stranote. Ripetizioni volute senza svolazzi letterari e citazioni poetiche: ricordo mia zia che, quando accompagnava noi nipotini alla messa con la predica, ci esponeva, mentre ci si avviava alla Chiesa, ciò che il parroco avrebbe detto, ed era ciò che aveva detto l’anno prima, e nessuno si meravigliava più di tanto, poiché per andare in Paradiso non occorrono tante idee peregrine; e lo si vedeva raramente all’osteria o gironzolando per le vie in passeggiate un po’ estrose: un uomo abbastanza prevedibile, e guai se non fosse stato prevedibile; non lo avremmo riconosciuto come prete.

Poi vennero i quarant’anni, poco su poco giù, dopo il Concilio, con tutte le innovazioni che ancora non abbiamo capito pienamente. Organizzazioni di partite sportive, di teatri, preferibilmente leggeri, brevi esposizioni catechistiche dove non ci si preoccupa di comunicare delle verità semplici e capaci di salvare, ma si richiamano i passi della Bibbia come quando si gioca alla tombola; per poco; gite organizzate nelle mete anche più sbarazzine e chiamate pellegrinaggi, canzoni che si rivolgono al Signore, alla Madonna, ai santi e agli angeli, ma che poco differiscono dalle ariette del festival di San Remo o delle raccolte dei juk-boxe, e poi tanto chiacchierare di nulla e aspettare che passi il tempo per non si sa quale incombenze, disinvoltura nel raccontare barzellette spinte e nel cantare ariette sciape, vacanze poco misurate: bisogna pur riposarsi dopo tanto far niente, ecc. Quando si vedono tanti preti giovani raccolti davanti al tabernacolo con gli occhi fissi al Signore Gesù presente e motivo di una vita lieta e creativa? e il breviario speede anche dopo le accorciature recenti e la tradizione in volgare, e la messa recitata con stile duecento metri di Mennea, e la predica  concentrata “a dado”, che si proibisce ogni richiamo strettamente religioso e vagola per citazioni sbrigliate e per richiami rubati al giornale della mattina: quello letto appena prima di infilarsi il camice e uscire all’altare, e così via. E le conversazioni che si proibiscono ogni richiamo al Signore e si sfilacciano in commenti a programmi televisivi o ancor più stupidi.

Sia chiaro: anche oggi non mancano sacerdoti esemplari. Anche giovani. Sacerdoti che con il loro vivere, ancor prima che con il loro parlare, richiamano il Signore Gesù presente tra noi. Sacerdoti che si rendono attenti alle persone inferme e vanno a trovarle per un conforto e per una preparazione abbandonata all’abbraccio di Dio.

Ma non è un problema tra gli altri la crisi delle vocazioni dei preti. E non si tratta soltanto di numeri che calano e di posti che si rendono vuoti. La Chiesa non è una ditta che conta il personale per misurarne l’efficienza come una azienda di automobili o di dolciumi. E’ una realtà umana che nasconde e rivela un mistero in persone concretissime che rendono visibile e palpabile la vita futura che si attende.

La carenza di preti è carenza di simbologia reale della vita divina che finisce per svuotare anche di umanità la vita creaturale. Perché lamentarsi se la vita del mondo va a rotoli? Mancando richiami simbolici realissimi che rendono presente il mistero di salvezza, la vita diviene priva di senso.

Sia chiaro: la crisi di vocazioni sacerdotali è parallela alla crisi di credenti laici che non prendono più sul serio il rapporto con il Signore. E’ crisi della Chiesa. E’ crisi che chiama tutti a una ripresa che eviti di condurre a un’agonia mesta e disperata.

E i vescovi, e la gerarchia ecclesiale in genere, possono dichiararsi tranquilli dentro la situazione in cui viviamo?

Viva la speranza cristiana. Purché ci sia.

 

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