L’obbedienza nella Chiesa

 

Data l’atmosfera culturale anti-dpendenza che si respira oggi quasi in ogni campo – dalle leggi stradali, al rispetto della proprietà altrui, alla tutela e alla promozione della persona, alla protezione stessa della vita ecc -: data la celebrazione smodata e perfino anarchica della libertà senza limiti che oggi  si impone senza alcuna fatica, tanto è diventata costume, se non improntitudine, almeno sgarbatezza può apparire di questi tempi una riflessione anche soltanto abbozzata sulla obbedienza. Soprattutto quando questo tema viene considerato non in generale nel contesto della vita civile, ma dentro l’orizzonte della Chiesa.

Sembra ovvio insistere sul fatto che il paradigma sommo dell’Obbediente sia il Signore Gesù che curva la testa anche nei momenti più drammatici e dice di sì alla volontà del Padre: “ Padre, non la mia volontà sia fatta, ma la Tua” e il Redentore giace bocconi a terra singhiozzando e sudando sangue nella preparazione a salir sulla croce. L’esempio è altissimo e può apparire inaccessibile, tanto l’uomo contemporaneo sottolinea il valore esaltante della libertà: anzi, di una libertà che non ha né meta né direzione, ma sembra chiamata a scorazzare per ogni dove, scegliendo a caso il proprio destino. Cioè, scomparendo come libertà umana, ma sostituendosi illusoriamente con una libertà divina di tipo occamista o peggio.

Se il discorso vuole avvicinarsi alla concretezza dell’umano – l’umano nel quale il Verbo si è incarnato –, deve prendere in considerazione la Chiesa, e la Chiesa non in senso generico e particolarmente protestantico, ma nel suo significato e valore cattolici: come prolungamento del Signore Gesù morto e risorto e come attuazione del disegno di Dio applicato all’umanità.

A questo punto insorge tutto la problematica dell’obbedienza dell’uomo ai comandamenti di Dio insegnati e vissuti da Cristo. Si può chiamare opportunamente anche l’adeguamento del pensiero e dell’agire dell’uomo alla verità insegnata dal Signore Gesù e ai comandamenti che Egli ha fatto propri concretizzando la struttura e la dinamica della creazione. Obbedienza è, allora, la lealtà, la laboriosità, la promozione della persona, l’aiuto ai poveri, la giusta mercede agli operai, l’equità delle tasse che il cittadino deve pagare per il sostegno e lo sviluppo dello Stato e così via.

Non basta. La Chiesa concepita e vissuta cattolicamente, non è chiamata soltanto ad attuare in generale i comandi direttamente derivati da Dio, sia pure attraverso Cristo. Se il Signore Gesù ha fondato la sua comunità dello Spirito sulla grazia e sui carismi, Egli ha stabilito anche delle guide nella compagnia di Dio: guide che hanno il compito di insegnare, di applicare i gesti sacramentali e di esprimere il progetto di Dio anche in gesti più immediatamente vicini alla vita di ogni giorno. E si precisi subito che questi interventi ecclesiali non possono annullare una qualche originalità generalissima che è propria dell’ordine creaturale: si pensi a questioni di politica spicciola dove bisogna dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.

Si pensi alla applicazione evangelica degli imperativi del decalogo e, in genere, della legge naturale o comunque la si voglia chiamare. Si pensi alle norme maggiori e costanti stabilite per le celebrazioni liturgiche: le formule sacramentali, i gesti del Battesimo, della Remissione dei peccati; si pensi all’esigenza della consacrazione sacerdotale per la celebrazione della messa e per il servizio del perdono sacramentale, ecc. C’è dell’altro: perché in una famiglia – e si scusi l’esempio – vi sia ordine, disciplina e armonia, non basta stabilire l’orario della levata, del riposo e dei pasti. Si può anche giungere a stabilire il menù. Ma più in là è difficile andare. Se non si vuole lasciare tutto il giorno la mamma in cucina a spignattare, bisogna pure che essa conosca l’ora in cui ci si mette tutti a tavola e si compiano i gesti più determinanti della vita. A questo riguardo, non esiste comandamento che stabilisca se il pranzo o la cena debba essere all’ora tale o all’ora tal altra: basta che ci si accordi tutti su un’unica soluzione e che vi sia un capofamiglia o la mamma che decida senza troppe discussioni. Uno cederà aspettando un poco che la tavola sia pronta, l’altro chiederà che si inizi un po’ prima. La vita comunitaria chiede sacrifici un po’ a tutti. Se no, diventa un’accozzaglia di pareri e decisioni.

Fuori di esempio: se una scelta civile tocca la struttura e la sanità di una persona o di un popolo, la Chiesa può e deve intervenire anche se si pronuncia su delle decisioni discutibili. Non si può discutere all’infinito; se no, si rimane tutti statici e la vita della fraternità e della famiglia si arresta.

Quali colori liturgici usare per le diverse messe che vengono celebrate? In quali riti esprimere il dolore e il suffragio davanti alla morte? Quali formule orazionali utilizzare per invocare da Dio la guarigione di  un fratello infermo? Quali credenti proporre modelli e intercessori per impostare uno stile di vita santa? In quali orari stabilire la celebrazione del sacrificio di Cristo per il servizio della comunità? Quali formulari usare per essere in concordanza con il mistero che si celebra? E si potrebbe continuare riportando quasi tutto il Codice di Diritto Canonico. Che contiene anche la ribattitura di comandi divini fatti propri da Cristo e dalla Chiesa, ma poi si inoltra in zone opinabili che, per il fatto di essere opinabili, non sono né dannose, né inutili.

L’obbedienza ecclesiale così intesa si precisa nei piani pastorali che la Chiesa fissa per tutti i credenti. Si precisa per il tipo di convivenza che si vuole instaurare. Si precisa per i diversi compiti che la comunità cristiana è chiamata ad assumere nei diversi tempi e nei diversi ambienti. Se non si vuole che l’ut unum sint diventi un disgustoso “sciogliete le righe”, come purtroppo sta succedendo, in parte, attualmente nella Chiesa occidentale. Il cristiano adulto è colui che sa obbedire docilmente e, quanto è possibile, lietamente. Né si richiede che l’autorità dipenda dal grado di santità di chi la esercita. Vi possono essere laici ignoranti teologicamente che sono più consonanti con lo Spirito, di arcivescovi e cardinali. Per l’esercizio di una autorità conforme al Signore Gesù, oltre la santità, si richiede anche la prudenza e la capacità di creare una fraternità in Cristo. Sanctus es? Ora pro nobisDoctus es? Doce nos. Prudens es? Rege nos. Il che obbliga anche l’autorità ecclesiale ad ascoltare la saggezza dello Spirito che è proprio dei semplici.

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