Per fortuna c’è l’Inferno

 

Il santo Padre ieri l’altro ha parlato in una parrocchia romana dell’Inferno. E qui si potrebbe aprire tutto un capitolo sulle battute umoristiche che con rassegnata monotonia si vanno ripetendo lungo le stantie barzellette pie e blasfeme.

Forse non c’è nulla che susciti più umorismo di ciò che mette veramente paura. Si glissa sull’orrore per immunizzare il terrore. Ed è noto che non c’è nulla di più umoristico – e di tragico – dello sdrammatizzare il dramma.

Così un certo terrore di fronte al destino umano diviene ridanciano: ridanciano per coprire il brivido della paura.

Il tema dell’Inferno è tra i più evitati nella predicazione e perfino nella liturgia. Sembra che se ne debba accennare soltanto quando si ha voglia di sganasciarsi dalle risa.

Anzi, quando si tocca questo argomento, pare ci si debba preparare a sguaiataggini che suscitano il solletico più che mettere di fronte al proprio destino ultimo.

Macchè Inferno. Macchè Paradiso. Si tratta di miti, di simboli costruiti per suscitare qualche spavento  qualche illusione. E la libertà umana si lascia prendere dalla angoscia che blocca ogni serenità e ogni gioia. Una riga sopra queste favole nere, e uno inizia a divertirsi in una esistenza senza senso.

Già, una esistenza senza senso. Il fatto è che se non esistesse l’Inferno, non vi sarebbe nemmeno il Paradiso, e tutta la terra sarebbe come una landa desolata e insignificante. Se non esistesse il Paradiso, l’intero universo sarebbe un gioco da ragazzi un  po’ incoscienti, poiché non ci sarebbe un fine da raggiungere e una paura da evitare.

Il bene e il male sarebbero la stessa cosa. Il premio e il castigo sarebbero intercambiabili senza batter ciglio. La vita non avrebbe più significato. La gioia e il pianto si sovrapporrebbero indifferentemente. Qualche teologo affrettato ha sostenuto che non esiste né Inferno né Paradiso – come stati di vita e non come luoghi. Ma allora che significato potrebbe avere l’obbedire o trasgredire i comandamenti? Amare od odiare il Signore? E se ci fosse anche un solo beato o un solo dannato, non meriterebbe l’architettura ciclopica del Paradiso e dell’Inferno? E se tutto fosse identico al tutto, che significato avrebbe il premio o il castigo? Castigo. Che poi non è l’ira di Dio che si esprime contro qualcuno, ma la chiusura della libertà che non si lascia raggiungere dall’amore di Dio? E un Inferno e un Paradiso vuoto non potrebbero iniziare a essere occupati da me, da te, per il peccato  e per la grazia?

Meglio, molto meglio l’Inferno e il Paradiso per raggiungere uno scopo e dare un significato alla vita. Se no, meglio mandare all’aria tutto e dire che nulla ha uno scopo. Ma allora, a che serve un giorno dopo l’altro, senza spararsi un colpo alla tempia.

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