Una fila interminabile per l’ultimo saluto

Poi verranno anche i “grandi” con i jet di Stato, con le loro Limousines, con le gualdrappe luccicanti di medaglie, con il seguito che serve per sicurezza, ma dà anche un po’ di lustro. Per adesso è la gente semplice che è partita con mezzi di fortuna, scomodi, intraprendendo viaggi dove le ore non si contano e i contrattempi e le scomodità, per giungere a Roma e salutare il papa per l’ultima volta.

Vien da pensare che non fosse tutta scena la presenza di folle nei luoghi dove Giovanni Paolo II arrivava per la Messa o per qualche cerimonia religiosa. A contarli, questi pellegrini del dolore sono centinaia di migliaia e forse milioni. Non per un concerto di musica contemporanea, né per una partita di football, ma semplicemente per passare accanto a una salma, guardarla, salutarla e poi partire con la convinzione di aver compiuto un dovere, o con l’intenzione di ritornare per il funerale.

Ci sarà pure chi parlerà di superstizione o di devozione smodata. A me sembra semplicemente un atto di cortesia e di gratitudine, compiuto a fatica, come un dovere a cui non ci si può sottrarre. Vi è chi l’ha sentito parlare e l’ha visto pregare nelle proprie piazze. Vi è chi ha avuto la ventura di lasciarsi guardare negli occhi e di lasciarsi accarezzare con mano lieve e affettuosa. Tutto qui. Ma in quel contatto pur fugace ha intuito qualcosa di grande che si sprigionava dalla personalità atletica e mistica di Wojtyla. E qualcuno dei visitatori si lamenta delle ore passate in fila disciplinata per poter esprimere il desiderio di una grazia.

Ormai è letteratura sociologica e storica che descrive la fobia per la morte. Non bisogna far vedere un cadavere ai bambini. Chi è in lutto deve fingere che nulla sia capitato. Non è educato parlare di morte con persone che lasciano intendere di essere immortali. Tutto ciò che attiene al termine della vita va nascosto accuratamente, perché disturba la quiete dell’animo che assomiglia molto all’incoscienza.

Ed ecco, invece, un papa che viene esibito nella freddezza e nella staticità della morte: un papa che viene accostato come se fosse vivo e ancora avesse la possibilità di fissare gli occhi penetranti e di sommuovere il cuore senza paura.

Proprio questa mancanza di paura fa problema. Non compensata da un entusiasmo fittizio. Non sublimata in una canonizzazione operata a tamburo battente con i media. Non attutita con la coscienza di assistere a un fatto storico. Chi vuole chiamare “grande” Giovanni Paolo II, o lo vuol santificare in fretta e furia sono gli strumenti di comunicazione di massa, non il popolo che ha meno lampi geniali e un buon senso assai più solido.

Vedrete: a funerale compiuto, le paginate di giornale dedicate al papa cederanno il posto a una specie di gioco al totopapa, per proporre qualche personaggio che maggiormente risponde alla propria idea di cristianesimo o alle proprie attese più lievi. Anche allora Piazza S. Pietro sarà piena. Ma ci si aspetterà che lo Spirito abbia guidato il conclave e che il successore di Giovanni Paolo II rappresenti il Signore. Il resto è politica, diplomazia, quand’anche non folclore.

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