L’astensione rende merito
all’intelligenza

Ieri l’altro, su “La Stampa”, don Leonardo Zega, l’ex direttore di “Famiglia cristiana”, è intervenuto per dire, in sostanza, che, di fronte al referendum circa la procreazione assistita “è molto probabile che, date le circostanze, la scelta dell’astensione sia la più saggia”. E, tuttavia, il religioso paolino si lamenta perché l’intervento del card. Ruini il quale ha suggerito “il non voto” in concreto ha bloccato la riflessione e la libera decisione almeno dei cattolici. “Resta in molti – dice don Zega – il fastidio di una discussione monca, di una decisione maturata per via autoritaria, di una scarsa fiducia nell’intelligenza e nel senso di responsabilità dei credenti… Si è persa l’occasione per rendere più consapevoli e coinvolgenti le scelte dei cittadini, credenti e non, che guardano alla Chiesa come a un referente affidabile, soprattutto su temi alti quali l’inizio e la fine della vita umana”. L’astensione apparirebbe così “più un allineamento (e una risposta politicamente segnata) che il frutto di un coinvolgimento maturato nella coscienza collettiva”.

Se si riflette con senso critico su questa presa di posizione, davvero non si riesce a capire perché mai la gerarchia ecclesiale – Ruini, ma con lui pressoché tutti i vescovi – abbia impedito la riflessione e la discussione sul modo di comportarsi di fronte al referendum sulla legge 40. A parte il fatto che la grande informazione ha dibattuto largamente il problema accennato – quasi ogni giorno ci si imbatte in articoli pro o contro la legge suddetta -, non si vede perché mai i vescovi non abbiano considerato il problema di cui si dibatte prima della indicazione data dal presidente della Conferenza episcopale italiana. Comunque, chi vuole farsi un’idea propria ha diversi mezzi a disposizione: scientifici, filosofici e teologici. Può anche seguire una certa stampa “laica” come il “Corriere della Sera” il quale già in apertura della discussione  tempo fa aveva avvertito i lettori che la linea del quotidiano sarebbe stata quella di votare per una revisione peggiorativa della legge sottoposta a giudizio.

E così non pare che la “maggiore libertà di espressione” circa problemi etici di decisiva importanza abbia rispettato sempre la preoccupazione di aiutare i credenti e gli altri a formarsi un giudizio motivato e saggio. E che, il presidente della Conferenza episcopale italiana deve attendere il “via” dato da qualche giornalista per avviare una documentazione e una discussione che proseguono da mesi, se non da anni?

Anche la comunicazione di ispirazione cristiana non pare si limiti alla “trasmissione” di pareri e voleri vincolanti. Un mezzo di comunicazione non diventa un “foglio d’ordine” soltanto perché, aiutando a ragionare, riporta il parere delle guide della Chiesa. I credenti e i cittadini hanno pure il diritto di sapere come la gerarchia ecclesiale suggerisce di comportarsi in un determinato caso di coscienza. E, forse, sono meno suscettibili di quanto immagini don Leonardo Zega.

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