Cosa manca ai giovani?
La scuola e la famiglia

Fantasie suicidarie a parte, le statistiche ufficiali parlano di più di cento tentativi di suicidio in un anno a Milano. Le statistiche reali – almeno per proiezioni – concordano, però, su più di mille tentativi di suicidio. Le regioni più colpite da questa piaga sono la Lombardia e la Sicilia. Ma fenomeni del genere si registrano un poco in tutto il paese e sembra siano in crescita.

Si tratta di comportamenti tenuti da adolescenti: comunque da ragazzi e da giovani sotto i vent’anni. Comportamenti di cui bisogna pur trovare una motivazione.

Le colpe attribuite alla società sono gravi ma generiche. Tra gli adolescenti che migrano ad ammazzarsi vi sono non solo quelli che vivono in condizioni di povertà e di miseria; spesso la noia di vivere e la voglia di farla finita involvono anche ragazzi della buona società. Occorre, dunque, cercare forse anche altrove.

A monte sta un’educazione che non ha abituato a sopportare qualche fatica e qualche scacco nella vita? Sta una mancanza di punti di riferimento morale e genericamente valoriali? Sta un tipo di esistenza che non si appassiona quasi più a nulla e trascina i giorni in una tristezza e in una solitudine senza scampo? Sta – mi si lasci dire da credente – l’assenza di certezze riguardanti l’Assoluto, l’Assoluto incarnato e vivente nella Chiesa, il destino dell’oltre tempo? Sono interrogativi – non i soli – che costringono a riflettere sulla tanto decantata civiltà del benessere che si descrive quasi tutta come post, senza misurare se il nuovo è davvero valido o soltanto nuovo, ammesso che lo sia.

Dopo di che, si può discutere se sia meglio parlare di questo fatto con i ragazzi, o tacer loro la situazione e le possibili cause. C’è chi sta per l’una, c’è chi sta per l’altra soluzione. L’importante è che questi giovani trovino qualcuno che abbia una consistenza anche umana, col quale misurarsi: non dal quale sentirsi condannati o lisciati senza motivo plausibile.

La scuola è così chiamata in causa, poiché è proprio nel rapporto con i docenti e con i compagni di studi che dovrebbe manifestarsi un disagio che può condurre all’autosoppressione. Ma la scuola offre davvero occasioni di confronto in profondità e con confidenza? Come minimo non si agisce in una fretta maledetta dove i ragazzi sono quasi impediti di guardarsi dentro e di confrontarsi con un’autorevolezza?

Con la scuola, la famiglia deve chiedersi come agisce al riguardo. Superando lo schema della casa-albergo o dormitorio; spegnendo il televisore quando ci si è informati a sufficienza su ciò che capita nel mondo e ci si dispone a un dialogo aperto e sereno; non concedendo ai figli tutto ciò che questi chiedono o pretendono, formandoli così a essere galantuomini capaci di lealtà, di fatica, di fedeltà alla parola data, di rinuncia ecc. E’ l’intera convivenza familiare a essere messa in discussione. Pregando i genitori di essere attenti ai segnali anche esili e quasi subliminali che i ragazzi lanciano perché non si sentono accolti o si sentono viziati.

Chissà che i ragazzi non abbiano bisogno di qualche urto nel confronto con gli adulti. E di essere capiti nella loro sofferenza. Sì, perché sembrano giocherelloni, ma soffrono anche perché non riescono ad aprirsi e ad esprimersi.

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