Venerdì scorso i miei preti hanno portato i bimbi in cattedrale per iniziare la novena del Natale e far benedire i bambinelli di materia plastica, ma colorati, che prenderanno il posto d’onore nella capanna del presepio. Ho spiegato che Gesù va messo nella grotta a mezzanotte esatta, e dunque spetta al papà e alla mamma deporlo nella mangiatoia: i piccoli a quell’ora dormono, sia pure un poco agitati. Al risveglio nella giornata santa, i bimbi devono prendere Gesù bambino e darlo da baciare al papà, alla mamma e alla famiglia intera.

La cattedrale piena zeppa, una gran fiera e l’attesa di un canto e di una preghiera che unisse tutti. Non ho tenuto il sermone. Ho risposto a quattro domande che quattro fanciulli mi hanno rivolto. La prima chiedeva la differenza tra Babbo Natale e Gesù bambino. Senza molti giri di parole, ho risposto che c’era una differenza notevole: Babbo Natale non esiste – nemmeno la Befana, che oltre tutto è brutta -, mentre Gesù Bambino c’è e porta i doni. Mi sono sentito in dovere anche di spiegare che se volevano la prova della inesistenza di Babbo Natale, potevano tirare la barba a una delle maschere in giro: la barba nella quasi totalità dei casi si sarebbe staccata perché era finta. Anzi, Babbo Natale è un’invenzione dei genitori senza eccessiva fantasia, i quali suggeriscono al vecchietto di dire al figlio i doni che dovrebbe chiedere. Gesù bambino, invece, non reca di persona i regali: induce i genitori a comprarli: tanto che, se non venisse lui, di doni non si parlerebbe nemmeno.

Sapevo di suscitare un vespaio tra genitori di fede un po’ fioca. E così avvenne. Si andò perfino a importunare psicopedagoghi per interrogarli sulla vicenda e riprodurre i loro pareri sulla grande stampa. Tutto sbagliato. Non bisogna turbare i bambini sostituendo o negando l’immaginario con cui giocherellano e si cullano. Occorre stare al gioco: e se la macchina dell’operazione vendite stabilisce che a Natale è il vecchietto che porta i doni, ebbene, bisogna obbedire.

Macché bisogna obbedire. Se si tratta di favole, la narrazione del vangelo è una tra le più belle. Il presepio non cessa di attirare l’attenzione degli occhini dei fanciulli. Con questo di strano: che la favola è vera; più vera della realtà: basta guardare le cose con fede e si capisce subito. Forse il problema psicopedagogico sta proprio qui: se si ha fede o no. Se sì, si ammira il bimbo nella mangiatoia, che è il Figlio di Dio incarnato. Se no, si prendono tutti i pezzi del presepe e si buttano nella spazzatura come carabattole.

Le favole – quelle profondamente umane – sono più vere della concretezza terrena. Quanto, poi, alla preoccupazione di non scompaginare il materiale fantastico dei piccoli, basta mettergli in testa quello giusto e denso di significato.

Spesso si fa di tutto per confondere i poveri bambini che, oltre tutto, hanno già a disposizione Harry Potter, la Barbie, e tante altre figure immaginarie che non sfiorano la sfera religiosa.

Tanto vale lasciarli nella loro angusta fantasia, se proprio non si vogliono turbare. Sia chiaro, però: la favola più bella è quella di Dio che si fa uno di noi. Il resto è moscia trovata.

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