Il pensiero corre subito alla vicenda di Buttiglione. Ma sarebbe un restringimento quasi accecante di sguardo. A ben vedere, dopo un entusiasmo perfin poco contenuto, guadagnato soprattutto dietro la figura del papa, sta affacciandosi un atteggiamento di cultura del disprezzo nei confronti del cattolicesimo. (Si parla, ovviamente, dell’Italia). Le strutture della Chiesa sembrano diventare dei doppi rispetto alle istituzioni profane. Non si è lontani dal trattare organizzazioni cattoliche come gruppi di animalisti, di antifumo e di formule gastronomiche dimagranti. I flabelli non ci sono più. La tiara con il triregno giace nei musei vaticani. Anche i colori degli abiti di cerimonia si vanno stingendo, o almeno non si notano più come un tempo, confusi come sono tra molti altri aventi il fine di attirare l’attenzione: un’attenzione di moda e di mondo.

        Un indubitabile elemento che spiega questa discrasia è senza dubbio quella che in parole semplici e chiare si può denominare ignoranza religiosa. Si potrebbero portare esempi vistosi per dire che spesso vengono rifiutati dogmi singoli o l’intero credo non per ragioni fondate e critiche, ma perché si è deciso che il cattolicesimo deve essere un’accozzaglia di illusioni o di prevaricazioni. Soprattutto quando si respira l’aria di una doxa (di un discorso corrente) che a priori stabilisce il vero e soprattutto il falso. Con il linguaggio stringatissimo di un retore di razza, Tertulliano direbbe ai suoi oppositori di curvarsi sui testi sacri del cristianesimo ne ignorata damnentur (affinché non si rifiutino delle convinzioni di cui non si sa né l’origine, né la natura): lo studio, la riflessione, un dialogo serrato e cortese non guastano in questo campo come in altri.

        Non si addossi la colpa soltanto a coloro che stanno dall’altra parte del confronto religioso. Pare difficile negare che anche tra i cattolici vi siano stati tentativi di addolcimento della dottrina e della morale: sforzi per ritrovare nel pensiero comune e unico non solo delle anticipazioni, ma un cristianesimo completo e perfino più solido di quello del Magistero e del popolo di Dio: al punto che non s’è più visto perché mai l’altro – e noi stessi – dovesse cambiare idee e condotta di vita. Il dialogo tanto decantato ha finito per rammollirsi e registrare, alla fine, una identità di vedute confuse e interpretabili in mille modi a piacere.

        Adesso sta riemergendo una esigenza di chiarezza che non poteva mancare a lungo. Chiarezza. Che non significa disprezzo dell’altro. Che significa, piuttosto, attenzione e amore all’altro, ma un misurarsi rigoroso e pulito delle convinzioni e delle norme morali. Rimangono, come al solito, i reduci che non s’accorgono da quale vicenda sono usciti. Ma li si ritroverà, forse, tra gli anti.  Spiace.

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