Chi ha un po’ di pratica conosce una fungaia di rivistine che, in Italia forse più che altrove, trattano del fenomeno religioso vissuto soprattutto dai giovani. Di solito non ci si trova di fronte a studi abbastanza ampi e accurati. Si va un po’ a pressappoco. E i risultati non possono presentarsi se non pressappoco.

         I criteri per misurare l’intensità della fede unita alla vita cristiana si configurano  in modo assai diverso. Si computano le presenze alla Messa festiva e alla comunione pasquale. Si tenta di rilevare l’intensità dell’impegno – non sempre prolungato e non sempre prorompente – che i giovani cattolici hanno per gli altri, soprattutto per gli ultimi, come amano dire. Ci si sente iscritti a chissà quali aggregazioni cristiane perché ci si schiera dalla parte di un ondulante pacifismo. Non raramente si passa da uno schieramento sociale e politico a un altro opposto, ma avvertito come contiguo e quasi identico. Ecc. Queste riviste non si rassegnano ad ammettere qualche fallimento educativo. Trasformano la fede in un sentimento vago e privo di contenuto. Avvertono l’esperienza cristiana come un languore che può entusiasmare o può contrastare. E si è costretti a concludere che, senza un contenuto, la fede è morta, non c’è: un contenuto anche razionale che si traduce poi in propositi di vita umanamente significativa.

         E vengo alla notizia nuda e cruda che trovo su un periodico aduso a vedere le cose tutte in rosa: a colorare di speranza anche le sconfitte più cocenti. E quando ci si trova di fronte a numeri che non tornano e a comportamenti che deludono, allora si ricorre a interpretazioni confuse e vibranti, vibranti e confuse.

         Ed ecco la notizia. Forse uno dei segnali più chiari della ricerca religiosa è, appunto, la ricerca religiosa che si compie nella scuola. Forse dietro un suboscuro istinto di identificazione della verità sta la verità vibrante e trionfante. Ma ecco la smentita: nella città di Milano, in questo ultimo anno scolastico, più di 180 classi delle medie superiori si rifiutano di frequentare l’insegnamento religioso cattolico.

         Non amo atteggiarmi a profeta. Però ho l’impressione che la situazione peggiorerà. Dopo di che, noi staremo a declamare sulle grandi aspirazioni dell’animo umano e sulle attese di infinito, anzi di infinito incarnato e vivente nella Chiesa. La terapia di fronte a questa debacle? Si parla di insegnanti che non sanno proporre con sufficiente fascino i grandi e profondi interrogativi sulla vita? Genitori che, preoccupati più del telefonino o dello zainetto, hanno trasformato già da tempo gli aspetti del trascendente e sottovalutato il bisogno di rapporti filiali con Dio Padre che ci ama? Noi preti che preferiamo piagnucolare sui banche vuoti della chiesa anziché ritornare noi stessi sui banchi della teologia e sulle strade del mondo? Ecc. Io non so quali siano i banchi della teologia e le strade del mondo. So che non riusciamo a entusiasmare i giovani di Gesù Cristo. E ci si deve pur chiedere che mestiere facciamo.

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