Ci fu un tempo in cui un partito nominato e preciso era indicato dalla Chiesa perché i cattolici lo votassero. E un altro per il quale era proibito votare. Poi cadde lo schema della politica estera con il riferimento alla Casa madre dell’URSS da cui giungevano – pare – anche sovvenzioni non esigue.
Anche il partito dei – o di – cattolici si sgretolò. Per motivi di alleanze esterne – o interne: le “correnti”!- , ma soprattutto perché veniva a mancare un programma politico solido: il centrismo non era una meta e una strada; era una camminare sghembo arraffando di qua e di là secondo le occasioni e si tirò avanti più di quarant’anni con la benedizione di preti e di vescovi: una benedizione – chissà se molto efficace – non trascurata almeno da alcuni ceti.
E venne il mutamento della struttura di governo e dei temi su cui misurarsi e contrapporsi. Il passaggio dal proporzionale al maggioritario- pur temperato- sciolse in parte la solidità del centro con i suoi vantaggi. I valori di fondo da tutelare e da promuovere, passano, in parte dal benessere al diritto alla vita, addirittura: si pensi all’aborto, alla procreazione artificiale, al reperimento delle cellule staminali, ecc, per non richiamare un divorzio che va sempre diventando più agevole e veloce.
E adesso? E adesso si è chiamati a votare non un manifesto e una sigla, ma un programma e la competenza e l’onestà di chi lo deve attuare.
Per dire che appaiono operazioni di nostalgia quelle di chi intende far rivivere tale e quale il passato: un passato stanco e sfiatato per altro. Sia chiaro: non si mettono in dubbio i meriti che i cattolici – insieme con laici- hanno alle spalle nel superare il rischio di una comunistizzazione dell’Italia. Si vuol soltanto dire che la gerarchia ecclesiastica oggi non solo non benedice gagliardetti di parte; non si schiera neppure esplicitamente per precise forme politiche anche se vanno agitando slogan e vessilli anche troppo vicini alla fede.
Un’unità è da fare? Uomini e progetti, non militanze, gradi e reduci.