E’ di qualche giorno fa la notizia secondo la quale in Campania era stata concessa l’autorizzazione a celebrare le feste delle diverse religioni da parte di alunni della medesima scuola e della medesima classe. Poi un’altra notizia sulla scuola: a Milano si istituisce una classe liceale composta da soli studenti musulmani. Da queste colonne Giorgio Acquaviva, Umberto Cecchi e Antonio Patuelli hanno già dibattuto il problema dell’integrazione. In particolare, il primo ha sostenuto che con le classi per islamici creiamo nuovi ghetti mentre il secondo ha ribadito che forse è il solo modo per evitare lo scontro.

Mi si permettano alcune brevissime osservazioni. Il problema fondamentale sembra quello di una integrazione degli immigrati nella cultura italiana con i suoi usi e i suoi costumi, la sua lingua, la sua arte, la sua storia, ecc. Già da questo punto di vista si riesce con difficoltà a capire come una classe isolata e omogenea riesca a inserire alunni disomogenei in una comunità studentesca già disomogenea per conto proprio.

Rimane chiaro che i programmi da svolgere e le modalità da usare nell’insegnamento sono quelli stabiliti dalla legge scolastica italiana. Il dubbio dell’efficacia dell’integrazione ritorna, però, e ritorna in modo assai più accentuato che per le diverse feste religiose. Non si vede perché altri gruppi che non siano musulmani, ma abbiano delle ideee, degli atteggiamenti e delle pratiche comuni, in fatto di religione o di altro, non possano richiedere a loro volta il privilegio di una classe separata, se privilegio é.

Vi è poi da considerare il problema della laicità della scuola. In soldoni: qui si conficca una scuola confessionale in un contesto di scuola che si dice e vuol essere laica. Non solo si consente il nascere e il gestire una scuola in qualche modo privata: si usa pienamente la struttura – insegnanti compresi – di una scuola statale e la si piega a finalità determinate in fatto di fede e di riti.

Se si mettessero i cattolici a pretendere queste soluzioni, non scoppierebbe lo scandalo del privilegio? E i cattolici non sono sufficientemente numerosi per formare una o più classi? E non hanno un loro bagaglio culturale che li qualifica in modo preciso? Altro che suola privato-sociale costruita dai cattolici e sottopagata dallo Stato. Qui siamo alla scuola religiosa fatta propria dallo Stato e surrettiziamente chiamata laica.

Non si esce dal groviglio di questioni se non con la creazione di una scuola libera destinata al servizio pubblico e dunque sottomessa agli orientamenti governativi, ma anche sostenuta dai mezzi economici statali.

L’affare dell’integrazione vale soltanto per religioni esotiche? Il cristianesimo è davvero scomparso dalla nostra mentalità di italiani? E perché non si traggono le conseguenze da queste premesse? Paura di che?

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