La cronaca è del giorno dei morti, ma non perde di attualità. Mons. Gianfranco Ravasi su Il Sole 24 Ore afferma senza batter ciglio: “la nostra moralità, che sulla terra è condizionata dal sentimento e dall’interesse, diverrà limpida condivisione della giustizia divina che vota Hitler all’assenza della gloria al contrario di Francesco”. Se capisco bene, il noto biblista mette Hitler all’inferno e, con Hitler, vi è da pensare che collochi tanta altra gente: Stalin, per esempio. Ma dove fermarci nella elencazione?

In un telegiornale della tv di stato – non ricordo più quale -, il vaticanista intende fare del virtuosismo teologico asserendo che, contrariamente all’opinione di un grande teologo – voleva dire Hans Urs Von Balthasar – il quale avrebbe insegnato che l’inferno sarebbe vuoto, il papa invece esorta a pregare per i defunti, dal momento che almeno il purgatorio esiste.

Ignoro dove mons. Ravasi abbia trovato la pezza giustificativa della sua convinzione: il Nuovo Testamento ha tanti testi sulla giustizia divina quanti ne ha sulla infinita misericordia. Il vaticanista, poi, o non ha letto, o non ha capito il pensiero dell’insigne teologo svizzero. Il quale non ha mai sostenuto  che l’inferno è vuoto; ha, invece, emesso l’ipotesi che l’inferno sia una reale possibilità per tutti, anche se ignoriamo chi vi sia dentro. Piuttosto ha espresso una convinzione che si potrebbe tradurre così: non sappiamo – angeli dannati a parte – chi ci sia nella dannazione eterna; possiamo – e forse dobbiamo –, invece, sperare che non vi sia nessuno.

Basta riflettere un poco per accorgersi quale abisso c’è tra sapere e sperare: sapere indica una affermazione di fede sicura, emessa sulla autorità della parola di Dio; sperare significa ammettere che non si sa nulla di certo e rimettere la propria fiducia nel mistero di Dio. La rivelazione cristiana non viene incontro a tutte le nostre curiosità. Soprattutto quando si varca la soglia del tempo, ci mette nel mistero di Dio e nel mistero della nostra libertà: una capacità vertiginosa, questa, di accogliere il Signore o di contrapporci a lui. Il silenzio si addice all’universo rivelato da Cristo. Il silenzio e un impegno totale che risponda alle sue indicazioni di vita beata. Sia chiaro: sperare implica una responsabilità radicale che non toglie la paura della dannazione. Per ciascuno di noi, innanzitutto. L’amore è più esigente di un rapporto di giustizia. Più esigente e drammatico. Lieto anche.

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