Risulta difficilissimo rilevare con qualche precisione il fenomeno della diffusione della droga. Una cosa sembra certa: la droga nelle sue varie forme viene usata da molte persone; viene spacciata in svariatissime forme; non raramente raggiunge il commercio palese, almeno a piccole dosi. Adesso occorrerà fare i conti con la nuova legge che abolisce la distinzione tra le cosiddette droghe leggere e le droghe pesanti, e punisce l’uso di tutte, indistintamente, differenziando le sanzioni tra amministrative e penali. Un giro di vite assai deciso che ha suscitato reazioni non sempre di consenso.

C’è chi assicura che i consumatori di droga – soprattutto i giovani – sanno benissimo distinguere tra uno spinello e l’eroina, e dunque si regolano di conseguenza con una circospezione che sembra quasi saggezza. Altri operatori in questo campo fanno presente che, se è vero che non tutti i fruitori di sostanze leggere arrivano ai prodotti più deleteri, è altrettanto vero che i consumatori di droghe pesanti sono arrivati a questo punto in gran parte cominciando dalle droghe leggere.

Forse si può intuire una duplice concezione della vita dietro ciascuna di queste prospettive. Chi accentua la libertà individuale è pronto a concedere che uno si riduca allo stadio di larva per l’uso di stupefacenti: decisione sua; conseguenze in qualche modo volute. E chi può proibire una sorta di autodistruzione? Da considerare è poi il problema del mercato di queste sostanze: una liberalizzazione di esse toglierebbe gran parte delle mediazioni dalla produzione alla vendita. E, comunque, una libertà quasi illimitata finirebbe per raggiungere scopi forse meno drammatici di quanto si possa prevedere. Di contro, sta la posizione sostenuta da chi sottolinea la fragilità dei soggetti che usano droga, e assicurano che un qualche proibizionismo almeno pone qualche ostacolo a una leggerezza che condurrebbe a conseguenze nefaste.

La soluzione liberistica del problema sembra presupporre una sorta di mito dell’innocenza in chi si concede alle sostanze stupefacenti. Ciò si dica anche se, dietro la convinzione di una spontaneità tutta sana, si può nascondere una sorta di rassegnazione, quand’anche non di spinta alla rovina di persone, soprattutto giovani. Un qualche proibizionismo può illudersi di curare un male che, invece, viene acuito dal desiderio di accedere alla roba. Sembra, comunque, che la preoccupazione sia la tutela di persone fragili dai danni che potrebbero produrre a se stesse. E una legge potrà resistere a lungo di fronte a un costume contrario diffuso?

Bisognerà preventivare istituzioni di recupero efficace. L’opera più importante, tuttavia, è quella della prevenzione. Se è vero che alla droga ci si dà per solitudine, per senso di inutilità, per voglia di trasgressione.

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