Nella Francia laicissima vige l’esprit de géométrie anche in politica. Cartesio trionfa anche nel potere legislativo: per esempio, quando si tratta di identificare idee chiare e distinte in fatto di laicità della scuola e cavarne conclusioni indiscutibili. E’ del 1905 una legge robusta che imperava la divisione tra lo Stato e la Chiesa: una legge che, tuttavia, non si attardava a descrivere tutte le fattispecie applicative. Allora sembrava che bastasse l’affermazione generale. Adesso, no.

La discussione iniziò pochi anni fa, quando due ragazze musulmane si presentarono alla suola laica coperte dal velo rituale. Problemi aperti? Sì e no. No, perché non pareva che vi fossero gli estremi di qualcosa che assomigliasse a una professione di fede. Sì, perché le studentesse non potevano essere riconosciute dal momento che mostravano soltanto gli occhi. Il rischio era che una sola facesse esami e raggiungesse il diploma anche a nome dell’altra. La vicenda si complicò allorché altre alunne delle medie superiori, francesi fino al midollo, per nulla islamiche, si divertirono a mettere il chador come elemento di moda.

Che fece il governo? Stabilì una commissione nazionale con nomi altisonanti perché precisasse la vera natura della laicità. Insomma, il velo era simbolo di appartenenza religiosa, o, se lasciava intravvedere il viso, poteva essere valutato come semplice capo vestiario? La conclusione degli studiosi fu che, per non discriminare nessuna religione e onorare la perfetta neutralità della scuola statale, si proibissero tutti i segni anche lontanamente allusivi a una fede riferita al trascendente. Nei giorni scorsi toccò ai vescovi francesi riuniti a Lourdes prendere posizione in difesa della legge del 1905, senza inoltrarsi nel ginepraio della casistica. Anche perché, si ponga: la kippah, vale a dire la papalina che gli ebrei maschi si mettono in capo, è consentita o proibita? Il problema si potrebbe complicare con le croci che le ragazze usano portare sul petto. Professione di fede? L’esemplificazione potrebbe continuare in misura notevole: dove inizia il riconoscimento di un appartenente al buddismo, al confucianesimo, allo shintoismo ecc? Sembra di ritornare al moralismo del Settecento cattolico. E la minigonna non potrebbe essere indice di una concezione del mondo? E l’esibizione dell’ombelico con i vari percing e i vari tatuaggi disseminati per il corpo non costituirebbero oltraggio alla negazione aprioristica di ogni certezza religiosa? Il laicismo immaginato come assenza di idee,  e non come pluralismo, può esporsi al ridicolo. Aspettiamo l’approvazione della legge: una legge abbastanza voluminosa, ma che gli stessi autori propongono e si preparano a votare con un certo disagio. E i vescovi a riaffermare la libertà.

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