Uno potrebbe anche pensare che sarebbe meglio se il papa rinunciasse al suo incarico a settantacinque anni, come del resto è richiesto ai vescovi e ai parroci, o a ottant'anni, l'età dopo la quale i cardinali non possono più entrare in conclave ed eleggere il sommo pontefice. Non si tratta di un'eresia. Giovanni Paolo II ha deciso che alla paternità non si può rinunciare e che dalla croce non ci si deve staccare. Benissimo. Il suo parere è norma.

        Stando alle cronache di questi giorni, almeno due cardinali - Ratzinger e Schömborn - si sono visti attribuite frasi che non avevano pronunciato, o costretti a correggere frasi manipolate. Dalle fonti ufficiali dell'informazione vaticana v'è da attendersi che anche a papa morto e sepolto si assicuri che il papa gode di ottima salute. Ciascuno fa il suo mestiere.

        Certi giornalisti, poi, pare si divertano un mondo a giocare macabro e a stiracchiare anche le affermazioni più innocue come fossero cicca americana: ne viene un papa agli ultimi sospiri. Con l'appendice indispensabile del totopapa prossimo. Ricordo che alla morte di papa Montini un amico giornalista mi omaggiò un suo libro intitolato: "Quale papa". Gli osservai che le pagine potevano essere tutte esatte, ma era sbagliato l'autore: doveva essere lo Spirito santo a scriverlo. E infatti non ci azzeccò.

        Che il papa non sia in condizioni floride di salute, si può vedere alla televisione ogni volta che vi appare. Da qui a una anamnesi, a una diagnosi e a una prognosi precise, ne corre. C'è soltanto da commuoversi nel constatare gli sforzi sovrumani che quest'uomo di Dio compie nel suo formidabile incarico di guidare la Chiesa. Il resto è chiacchera. E occorrerebbe anche avere un minimo di delicatezza - è pretendere troppo? - per non ritornare un giorno sì e l'altro pure sul tema del papa malato. Ancora maggior rispetto si dovrebbe manifestare nei pronostici circa il successore. Non sembra esercizio di delicatezza soave l'insistere su una situazione in cui si considera il papa come ormai defunto e tumulato. Non si parla a vanvera se si richiama il dovere di una cronaca rispettosa dei fatti e preoccupata di non far soffrire i personaggi di cui si parla. Ricordo una riunione di redazione di un grande giornale: il direttore apostrofa e quasi porta di peso il vaticanista che il giorno prima aveva "bucato" una notizia. Il quale vaticanista si limita a osservare che non ha passato il "pezzo" semplicemente perché il fatto narrato non corrispondeva alla realtà. E il direttore di rimando e con cipiglio altero: "E questo cosa c'entra?". Il caso serio sembrava essere soltanto il numero delle vendite del quotidiano. E la verità si impicchi.

        Il papa sta male? Preghiamo per il papa. Ma lasciamolo in pace. Senza papolatria e senza papofobia. Se non come a un padre nella fede, si guardi a lui come a un vecchio dal cuore stanco e giovane, che si avvia alla morte in pubblico, sotto le lampade impietose e oscene della tv.

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