Preceduta dalla banda musicale dei libri e degli attrezzi che costano troppo; fatti i conti e carburati per bene i docenti precari perché preparino, se necessario, qualche agitazione così da entrare in ruolo; ascoltate le raccomandazioni quasi materne del ministro Moratti e le esortazioni delle varie autorità - aspettiamoci anche il Presidente della Repubblica -; osservata ancora una volta l'entrata dei ragazzi coi grembiuli e gli zainetti nuovi: i ragazzi che ogni volta sono interrogati all'ingresso degli edifici scolastici per sapere ciò che essi ignorano e per ascoltare le ovvietà di rito, ovvietà che per loro sono assolute novità; adempiuti questi e altri doveri che sono stabiliti dallo zibaldone annuale della cronaca, finalmente si aprono le aule e si comincia la prima lezione: dicebamus heriper gli alunni della seconda elementare in avanti; iniziamo l'anno controllando chi sa già scrivere, leggere e far di conto per i primini delle elementari, delle medie inferiori e superiori; per le matricole universitarie si va un po' più in là. Un avvenimento. Lo dico senz'aria di ironia. Se posso recare un'esperienza di uomo che, prima di essere ridotto allo stato episcopale, ha lavorato sempre nella scuola, ammetto che in qualche modo mi sentivo rinascere quando, all'inizio di novembre, in Cattolica a Milano si avviava l'anno scolastico con la Messa in S. Ambrogio: era come ricominciare la vita a contatto con giovani assetati di idee chiare e certe e di punti di orientamento per il proprio destino.

       Una parola ai genitori e agli insegnanti. (Ai ragazzi è inutile porgere gli auguri: ne sono già subissati, tanto da provare sgomento di fronte alla nuova esperienza). Ai genitori i quali devono rendersi conto di essere nativamente i primi educatori dei loro figli: lo dice non soltanto la dottrina sociale cattolica, ma la Costituzione italiana. E, come primi educatori, papà e mamme hanno il sacrosanto diritto di dire il proprio parere per quanto concerne l'esposizione della storia patria, il modo di impostare l'esistenza, il comportamento che si deve avere nei riguardi degli altri e delle cose di tutti, perfino la scelta dei testi e qualche collaborazione - non esiterei a parlare di controllo anche - con i docenti. Sì, perché la scuola non è l'alfa e l'omega del lavoro educativo, per fortuna. Dietro sta l'ambiente familiare di cui occorre tener conto; davanti sta l'avventura del lavoro che attende. Può sembrare un po' sbrigativa questa esortazione ai genitori perché intervengano nelle scuole, ma è necessaria almeno per i ragazzi che non hanno ancora capacità di ricevere con atteggiamento critico gli insegnamenti che vengono loro impartiti. Almeno perché la scuola non diventi sezione di partito o luogo di trasmissione di ideologie. Il pluralismo è laicità. E' laicità anche la possibilità di scelta che lo Stato dovrebbe dare - in concreto, anche sotto il profilo economico - ai genitori perché decidano a quale scuola iscrivere i loro figli.

       Una parola ai docenti, poi. Per favore, non approfittino della loro maggiore competenza e scaltrezza intellettuale per trasmettere idee e fatti per nulla oggettivi. Per favore, non approfittino della simpatia che nei ragazzi insorge sempre di fronte a persone nuove e affascinanti - una sorta di transfert - almeno perché si mostrano assai accondiscendenti. Sappiano che gli insegnanti più ricordati saranno quelli più seri, se non proprio più esigenti. Seguano pure le indicazioni ministeriali che insistono molto sulle tre i: inglese, industria, informatica: dalla scuola traggano dei gentiluomini con tuba e ombrello, dei manager capaci di dirigere torme di dipendenti, magari senza pretendere di essere subito direttori; degli scienziati che passino ore davanti al personal computer inventando operazioni surreali. Ma, per favore, non impostino l'insegnamento unicamente orientato al lavoro. Gli alunni, più avanti, avranno modo di stancarsi e di cambiare la professione. Per favore, dicano ai ragazzi anche quelle cose inutili che fanno bella o almeno sopportabile la vita. Le filastrocche. Le favole. Le poesie che rimangono poi attaccate alla memoria come motivi di evasione e di dolcezza. Introducano gli adolescenti alla capacità di piangere - nascostamente - e di esaltarsi sotto l'impeto di una tristezza che non sanno dominare e di un'attrazione che non riescono a sedare. Sto parlando di poeti che fan capire cose che gli scienziati non riescono a comunicare. Di poeti e di filosofi. Di filosofi e di narratori che abbiano nell'animo una proposta da consegnare.

       Io sogno una scuola che, anche quando sforna degli idraulici o dei carpentieri, dia loro la capacità e quasi l'istinto di leggere Dante e Petrarca e Boccaccio e Foscolo e Manzoni e Leopardi ecc., quando son finite le ore di lavoro.

       E circa quella immersione nell'infinito che è l'ora di religione? Almeno per intuire che la vita non è un ghirigoro senza né capo né coda.

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