Domani, insistente come i mali di stagione, altra manifestazione di piazza. Sembra ormai sia invalso una sorta di precetto settimanale come la messa per i cattolici. E anche più di frequente. Stavolta per la festa del lavoro Primo Maggio. Sarà bene non scordare che questa commemorazione nasce da una rivoluzione fallita. Speriamo che non si vogliano disordini a tutti i costi e non ci scappi il morto: c'è troppa concitazione e troppo livore nell'aria. I motivi dell'agitazione, poi, ci sono, ma si possono trovare anche per via: la guerra finita o quasi in Iraq, il ritocco sulla legge delle pensioni, la propaganda per le elezioni ormai prossime, il coprire il vuoto di idee strategiche in vista della lotta - perché necessariamente la lotta? - sociale, la protesta contro il teorema di Pitagora e l'argomento ontologico di S. Anselmo d'Aosta ecc.
       Onore al diritto di esprimere le proprie idee anche in modo comunitario e perfino un poco rumoroso: purché non si creino soverchi disagi ai cittadini che desiderano vivere tranquilli. E sono da incoraggiare coloro che lavorano duro o sono in cerca di un posto, purché non pretendano funzione e stipendio di direttori generali al primo impiego. E però, che ci fanno nei cortei, tra operai, impiegati e disoccupati veri, molti "disobbedienti", "no-global", "autonomi", professionisti della protesta, i vari Casarini e Agnoletto e don Gallo e don Vitaliano di rito? Quale attività lavorativa svolgono o intendono svolgere? E, alla fine, chi li paga?
       Lavoreranno invece - eccome - gli uomini delle forze dell'ordine: poliziotti, carabinieri con paghe da fame, i quali, tuttavia, vengono spesso insultati come canaglie al servizio dei ricchi e dei potenti. E buon per noi se non si girano dall'altra parte per non vedere atti di teppismo o peggio, poiché poi, frange di magistratura militante sanno bene dove cercare i colpevoli dei disordini: quanto meno per eccesso di difesa. E a proposito: chi rifonde i danni provocati dai manifestanti: macchine date alle fiamme, vetri rotti a negozi, sfondati luoghi di prelievo di soldi presso le banche eccetera? La legge vale soltanto per alcuni e a intermittenza?
       Il lavoro dovrebbe unire gli agitati. Non si sa bene contro chi - perché operai vanno a dormire alle dipendenze di un padrone e al mattino dopo, quando si svegliano, si scoprono magari venduti a un altro padrone -, ma dovrebbe unire. A meno che si parta già divisi con le bandiere spiegate e qualche manganello nascosto per contrapporsi ancora di più: magari per menarsi di poco santa ragione. V'è da pensare che le adunanze oceaniche impressionino la gente - e mettano paura anche - per risolvere i problemi del lavoro. Ma quanto a espressioni popolari, in una democrazia parlamentare non valgono maggiormente le elezioni? O sono da ridurre a ludi cartacei? Mah. Va' poi a vedere chi è conservatore e chi è progressista.
       La Chiesa non ha mancato di benedire anche il Primo Maggio, presentandoci S. Giuseppe lavoratore come modello e protettore. In questa figura si recuperano e si esaltano i significati dell'attività umana: il sostenersi e mantenere la famiglia, il portare a compimento la creazione che Dio ha posto nelle nostre mani, l'unirci alla redenzione operata da Cristo, l'esprimersi della fraternità e della lode religiosa. Cose difficili da scoprire quando si è legati a una catena di montaggio. Eppure. Per esempio, si rilegga l'ultimo capitolo dell'enciclica Laborem exercens.
       S. Giuseppe artigiano, dunque guida di una piccola azienda familiare di carpenteria con meno di quindici operai anche se uno di essi è il Verbo incarnato. Auguriamoci che non si prenda il pretesto per contestare anche lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù, probabilmente contrario al referendum circa l'estensione dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

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