Nasce in Parlamento il progetto di legge n. 2531 intitolato libertà di coscienza e di religione. Si tratta della ripresa di una bozza che era già stata presentata dal governo Prodi: una bozza con qualche secondaria modifica.
       In sostanza si vuole adattare la legislazione italiana, in tema di religione, ai princìpi di libertà, dopo aver cancellato con la revisione del Concordato del 1984 la qualifica del cattolicesimo come Religione di Stato. Conseguentemente le altre forme di religione risultavano come Culti ammessi, secondo l'art. 8° della Costituzione: quasi con un senso di degnazione. Insomma, si intendono mettere le diverse confessioni religiose - cattolicesimo compreso - sul medesimo piano e regolamentare l'esercizio di questo diritto di libertà.
       Devo ammettere di non aver capito bene quali siano i requisiti che ogni aggregazione religiosa deve possedere per essere riconosciuta dallo Stato come ente giuridico o come struttura che si può rendere presente ufficialmente nei rapporti con il potere pubblico attraverso un incaricato. Per esempio: vale il criterio della consistenza numerica del gruppo? Vale la sua tradizione storica? Vale la sua incidenza sociologica e massmediale? Non è ben chiaro. Così come non sembra chiaro il motivo per cui spetti al Consiglio di Stato - un organismo laico, dunque - esprimere un proprio parere al ministero degli Interni sul carattere confessionale di una formazione religiosa. E perché non anche ateistica? Ignoro.
       Nella nota illustrativa che il governo fa precedere all'articolato del disegno di legge si dice che questo testo «rappresenta un significativo passo del governo per rispondere alle legittime esigenze di numerose importanti confessioni religiose largamente rappresentate in Italia (quale, tra le altre, quella islamica)». La situazione nuova che si andrebbe a creare permetterebbe concordati o intese con lo Stato italiano senza discriminazioni di sorta.
       Tra i connotati per il riconoscimento delle varie formazioni religiose si afferma: occorre valutare che il loro statuto «non contrasti con l'ordinamento giuridico italiano e non contenga disposizioni contrarie ai diritti inviolabili dell'uomo». Il rilievo è di prima evidenza solo che si ponga mente al fatto che «la libertà di coscienza e di religione comprende il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa o credenza, in qualsiasi forma individuale o associata, di diffonderla o di farne propaganda, di osservare i riti e di esercitare il culto in privato o in pubblico. Comprende inoltre il diritto di mutare religione o credenza». Ancora: «Non possono essere posti in essere atti aventi lo scopo di discriminare, nuocere o recare molestia» a chi esercita a propria volta il diritto della libertà religiosa.
       Con le riserve fatte, la legge può passare senza incontrare difficoltà. Per i cattolici, la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Vaticano II è ancor più precisa, se appena si aggiunge il dovere della ricerca della verità in campo religioso: dovere morale che, però, non si può imporre per legge. Obiezioni gravi insorgono quando in gioco sarà l'applicazione della legge. Per esempio: come si eviteranno accordi con le sette? Di maggior consistenza, tuttavia, si rivelerà il rapporto con l'Islam, pur previsto esplicitamente dal governo.
       Ora, si può essere ecumenici, agnostici o sincretistici fin che si vuole, ma di fronte all'Islam occorre anche in Italia porsi qualche interrogativo. E si parla qui di Islam quale lo si incontra concretamente nella vita vissuta, nell'esperienza quotidiana: senza andare a ricercare la teoria coranica secondo la quale non sembra si possa giungere a soluzioni univoche; senza avvicinare inopportunamente musulmanesimo e terrorismo; senza minimamente cedere a qualche spinta xenofoba. Senza semplificare oltre misura la questione, insomma; ma anche senza inforcare gli occhiali rosa.
       Tre aspetti - almeno - da analizzare. Un primo. Si è certi che i musulmani accetteranno la laicità dello Stato così da attuare la reciprocità della loro istituzione religiosa in rapporto a tutte le altre forme religiose? Qui non si tratta di imbastire un processo alle intenzioni. Basti evidenziare il fatto che per diversi musulmani il metodo democratico viene accettato finché essi sono minoranza; quando diventano maggioranza, invece, vogliono imporre la legislazione del Corano. Sono pronti gli italiani ad accettare una simile impostazione di rapporti sociali? E il governo che presenta il disegno di legge intravede le possibili applicazioni distorte a cui si sta aprendo? Si veda l'accettazione con riserva, da parte musulmana, della recente dichiarazione europea dei diritti fondamentali della persona.
       Un secondo aspetto da analizzare è dato dal fatto che per struttura l'Islam non ha né sacerdozio né gerarchia. In questo senso è spiegabile la molteplicità di posizioni che i diversi gruppi musulmani assumono su svariati problemi sociali anche rilevanti. Ci si rende conto che si ha a che fare con una pluriformità di strutture religiose? E col passare del tempo, tra le varie articolazioni dell'Islam, anche in Italia, non ne potrà prevalere una? Oppure ciascuna o quasi non chiederà un riconoscimento distinto?
       Sono problemi che vanno affrontati con lucidità e con coraggio. Può darsi benissimo che, col volgere degli anni, l'Islam anche in Italia si secolarizzi e si accordi con il metodo democratico e con lo Stato laico. Rinunci, cioè, a porsi come religione che fondamentalisticamente provoca e condiziona oltre misura una precisa convivenza anche civile. Ed è il terzo aspetto problematico. Ma nel frattempo, come si comporterà il pubblico potere?
       Ciò non significa che sotto il profilo culturale l'impostazione umanistica occidentale non si debba misurare con l'impostazione islamica in qualche modo e in qualche misura teocratica, in parte e per ora. Nel Medioevo l'Islam ha comunicato più di un'intuizione felice all'Occidente, ma allora la fede cristiana era solida e la filosofia nutriva un pensiero forte. Oggi le cose sono cambiate: quasi si ha l'impressione di un Occidente stanco ed esitante nel difendere la propria tradizione culturale. Questo, però, è tema diverso dall'analisi del disegno di legge.

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