Per esempio. Esiti degli esami del sangue: trigliceridi, emoglobina, colesterolo buono o cattivo. Risultati delle analisi delle urine e cose simili. Radiografia al torace o all'addome. Ecografia al fegato, alla prostata o alla vescica. Tracciato dell'elettrocardiogramma. Raccolta delle cartoline in negativo della Tac. Hobby del giardinaggio. Orientamenti sessuali, come è stato proposto. Ancor meno: formula del Dna. Sono tutti dati che io non permetterei fossero trascritti sulla o allegati alla mia carta d'identità. Per via della privacy o del buon senso. Perché mai dovrei esibire al cospetto delle genti la condizione della mia salute o la veridicità del mio albero genealogico?
       D'altra parte, un documento d'identità deve pur esserci. Se no, uno riceve un premio letterario - un premio di quei pochi che non sono già stati assegnati prima del concorso - al posto di un altro. Uno va a sostenere l'esame di Fisica 2 al Politecnico o di Anatomia a Medicina facendosi passare per un altro. Fuori il libretto universitario. E così via.
       Poche storie. Tre o quattro anni fa, quando descrissi - tra gli improperi della gente allineata alla lezione degli intellettuali -: quando descrissi, senza essere profeta, la situazione italiana ed europea che ci aspettava con un'immigrazione selvaggia quale era permessa allora, da parte di una persona competente - dell'ambiente ordine pubblico e carceri - sentii richiamare la difficoltà di identificare i soggetti che chiedevano asilo politico o negavano di essere già stati espulsi dal Paese. Ricordo il caso di un immigrato che era ormai conosciutissimo da carabinieri, polizia, Guardia di finanza e agenti di custodia carceraria: il quale immigrato si presentava con una quinta identità, una quinta situazione familiare, una quinta nazione d'origine, eccetera. E l'amico che mi raccontava il fatto - un uomo saggio e per nulla reattivo - proponeva già allora la rilevazione delle impronte digitali.
       In circoli prevenuti che sarebbero contrari anche all'elenco telefonico se questo avesse bisogno della loro approvazione, si è gridato subito alla sopraffazione, alla discriminazione, al regime, alla tirannia di fronte alla legge che impone la ripresa delle linee sui polpastrelli delle dita di chi entra straniero in Italia. Procedimento, quello delle impronte, che in passato veniva riservato ai pregiudicati. Dunque, eccetera.
       Dunque niente. Se appena si riflette un poco. Una carta d'identità o un passaporto è un documento che serve a far capire chi si è. Certo, se uno è gobbo o guercio, si può certificare che è gobbo e guercio: ammesso che la cosa sia garbata. Il colore dei capelli non serve più molto come dato segnaletico. Così il colore degli occhi. Ma allora bisognerebbe togliere anche la fotografia formato tessera. Se uno vuol nascondere la propria identità. Ma se uno la vuole mostrare? Qui sta il problema.
       Secondo me, le impronte digitali sarebbero meno azzardate della fotografia che può riuscire male o può ritrarre fisionomie non eccelse. E se uno non vuole lasciare impronte, rimangono sempre i guanti. Nessuna soluzione è perfetta.
       Non riesco a capire perché mai questa stampigliatura dei polpastrelli delle dita debba essere considerata disonorevole. La si applichi a tutti gli italiani e amen. Todos caballeros. Dopo di che, uno sarà considerato malfattore per qualche altro motivo e magari senza indici particolari di riconoscimento. Garantisti di tutto il mondo, unitevi.
       Ecco le mie impronte digitali. Tanto meglio se permettono di risalire a me più della fotografia.

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