Si fa in fretta a seppellire con una risata il fenomeno di - come chiamarli? - sbandati, marginali, rivoluzionari, anarchici, pacifisti ecc. che si mostrano spesso dove c'è, o dove essi portano, disordine nella convivenza civile. Gli abitanti dei centri sociali. I guerriglieri antiglobalizzazione. Con molti alleati di accatto. Spesso candidi. Senza escludere studenti rabbiosi. E profittatori. E perfino alcuni cattolici che si lasciano catturare a motivo di qualche opposizione alla congrega dei ricchi e a favore dei Paesi poveri. Si fa in fretta a liquidare questo quinto stato - dopo il clero, i nobili, i borghesi e gli oprai-contadini - difficilmente classificabile. Ma ci si inganna. Intanto, non è evento soltanto di oggi. Si può dire che è costante nella storia anche se in forme diverse. E non si pensi che oggi si esaurisca da sé o che sia fugace come un malanno di stagione.
       Si tratta, forse, di un tipo di uomo che si genera come dall'interno di una cultura, dove individui si coagulano a modo di ceto provvisorio quanto ai membri - non sempre consapevoli di ciò che scelgono o di ciò a cui si accodano -: un ceto a un tempo costante quanto alla sua presenza e all'incidenza che raggiunge nelle varie situazioni. Con maggiore forza negli ambienti in cui incontra vuoti di potere e impunità. La cultura attuale - il nocciolo duro - di questo movimento - da non metafisicizzare - si compone di elementi disparatissimi: sesso selvaggio, alcol, droga, violenza, devianze molteplici: elementi che possono forse essere ricondotti a un nichilismo di vaga ascendenza stimeriana; elementi che sfociano in una sorta di gioia di odiare ogni ordine sociale per ritornare a qualcosa come un'orda che si pone contro ogni civiltà regolata dal diritto e da un magari imperfetto eppur legittimo potere politico, sociale, economico, culturale. E contro ogni tradizione e ricordo del passato. Statu nascenti di un anarchismo che rifiuta ogni legittimazione - democratica, si ponga - per fare prevalere la pura volontà di distruzione verso ogni vestigio di ordine nella convivenza civile (e religiosa, no?). E poco importa se, con il passare del tempo, la rivoluzione si sclerotizza o si suicida. Si ricorrerà a un'ulteriore rivoluzione. A meno che gli esponenti più carismatici dei moti si sistemino nei contesti osteggiati: anzi, si collochino nei gangli organizzativi e decisivi più determinanti dell'odiata società.
       Marxismo come base? Ma no. Troppo inibente. Liberalismo classico? Nemmeno. Perché assicurare ad altri una tolleranza che si può negare? Prendere ciò che garba. Anche in campo ideologico. Le alleanze, poi, si scelgono sul campo e possono essere tra le più disparate. Perfino contraddittorie. Purché si ritrovino nell'intento di ritornare a un'ipotetica natura istintiva e distruttiva, prima di ogni cultura. Macché patto sociale. Macché disagio della civiltà. Istinto, piuttosto. Istinto che fa riconoscere e congiunge sodali di intenti fra tutte le correnti anarchiche di pensiero e di vita. Asociali. Immigrati. Spicchi di forze politiche. Islamici fondamentalisti. Ex carcerati irredenti. E si continui pure. A condizione che ci si ritrovi in una sorta di superumanità feroce e insaziabile. Non violenti anche. Per non riprendere l'accenno a cattolici che, a motivo di un evangelismo non riflesso, si riducono a essere tirannici in nome di un ideale - che vogliono imporre - di misericordia e di amore: al prossimo e a Dio. E feroci antiglobalizzatori che si orientano, forse inconsapevolmente, verso una globalizzazione della violenza. Pochi capi. Molti adepti. Qualche opportunista pure.
       Ho buttato giù spunti quasi a casaccio: spunti da riprendere con maggiore calma di quanto sia riuscito io, spinto da un amore - sì, un amore - sconfinato verso degli infelici che spesso non trovano un cane che li stia ad ascoltare prestando attenzione e regalando affetto senza degnazione. Non mi interessa molto se i lettori scoprono un vescovo proteso a capire e coinvolto nel soffrire con persone che soffrono - sì, soffrono - e che si sentono portate a omologarsi in una giustizia-ingiustizia parziale, oppure a spararsi in bocca per troncare un gioco che sembra crudele e assurdo. Giovani soprattutto. Per i quali prevenire e reprimere senza soverchia misericordia ogni espressione di violenza ingiusta. Con i quali, però, anche confrontarsi non a modo di un dibattito che, di solito, riconferma ciascuno nel proprio parere. A modo di ascolto, invece, pacato e fiducioso. Lasciandosi contestare, senza cedere su princìpi umani irrinunciabili. Anche i credenti non sognino di essere accolti perché annacquano il vangelo e riducono Gesù Cristo a un arlecchino insignificante. Per fame che cosa? E senza canonizzare per principio i giovani, i quali spesso hanno soltanto il coraggio illuso di far proprie idee altrui e di scegliere le strade che appaiono più ardue e anticonformistiche. E invece.
       Avviso: ho reagito a un libro discutibile finché si vuole, ma stimolante, di Maurizio Blondet - uno dei migliori giornalisti di Avvenire -: No global, Ares, Milano. Tanto devo per onestà.

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