I voti espressi nelle elezioni politiche non offrono certo la possibilità di ricostruire nei minimi particolari la visione del mondo o addirittura la fede dei cittadini che si esprimono. Per la guida dei Paesi occorre scegliere tra uomini che non sempre entusiasmano. I programmi, poi, per cui ci si schiera assomigliano un poco tutti, almeno a una lettura superficiale. Eppure il mettere la croce su un nome e un simbolo di partito indicati su una scheda, non è senza un significato culturale. La gente, delegando il potere, avverte nell'aria una problematica sociale che tenta di risolvere in un modo o nell'altro. (Brutto segno l'astensionismo: dice che non interessa la convivenza civile o che si è disposti a lasciarsi comandare non importa da chi. Con tanti saluti al gioco democratico).
       Al fatto. Ormai - stiamo al caso dell'Europa -, oltre all'Italia, vi sono almeno la Spagna, la Francia e prevedibilmente la Germania a lasciare intuire un'analisi e una linea di tendenza operativa abbastanza precise dei cittadini circa le questioni irrisolte della vita comunitaria. Di fronte alle opzioni elettorali non sembra né giusto né saggio incolpare i votanti di ignoranza, di sbadatezza, se non proprio di egoismo. E allora, perché la gente si esprime come si esprime? Voglia di mettere al sicuro privilegi raggiunti? Disprezzo verso i poveri che pure esistono e vanno aiutati? Stanchezza per il pluralismo e la libertà? Si potrebbe continuare con le ipotesi di ricerca. Una cosa sembra chiara: la maggioranza dei cittadini vuole essere tutelata nei suoi diritti, vuole non essere aggredita, vuole poter vivere in pace, sia pure pagando lo scotto di una collaborazione anche abbastanza pesante. La gente ha paura e chiede di essere protetta. Ha paura della microcriminalità diffusa; ha paura dei furti che rimangono impuniti, della droga che gira, dei criminali che vengono assolti o scarcerati, dei soprusi consumati quando si scombina a persone oneste il programma di lavoro o di vacanza perché i treni non arrivano e gli aerei stanno a terra, eccetera.
       C'è dell'altro. C'è una paura angosciata e quasi cosmica che molti si portano in animo a fronte di un nemico che non sempre si riesce a identificare. Fuori e dentro la città, la nazione e l'Unione europea. All'inizio del secolo scorso era ancora la fame. Poi venne il fascismo - con gli anni del consenso, tuttavia - e il nazismo, per quel tanto che attecchì da noi. Poi venne il comunismo e il panico per una probabile annessione forzata del nostro Paese all'impero sovietico: si può sorridere finché si vuole del tema della diga e di cose simili, ma abbiamo corso un grave rischio. Poi venne la minaccia della distruzione del mondo con l'atomica: un'ossessione, dopo Hiroshima, Nagasaki e perfino Chernobil. Poi cadde il muro di Berlino nell'89. Poi venne l' 11 settembre dello scorso anno: un giorno che cambiò l'atteggiamento non solo degli americani. Si obietti pure che si avvicinano e si sovrappongono fatti e situazioni diversissime. Ma gli stati d'animo non sono chiari e distinti come le idee di Cartesio. Eppur ci sono e condizionano.
       E adesso? Adesso c'è il terrorismo che minaccia e imperversa. Quello di casa nostra e quello mondiale. Una causa di morte senza volto. Può celarsi in quattro aerei di linea che fan da bombe immani, e i civili innocenti si aggiustino. Può fendere e scoppiare tra una folla immane e far stragi con ordigni esplosivi massacranti. Può manifestarsi in individui imbottiti di esplosivi che si siedono fra i viaggiatori di un pullman o tra le bancarelle di un mercato popolare. Può concretarsi nell'imbottitura dei muri di un appartamento. Può aspettare sotto casa quando si ritorna per la cena. L'esemplificazione è fin troppo ovvia. E presenta aspetti drammatici. Niente fronti contrapposti. Niente dichiarazioni di guerre. Niente possibilità di difendersi. Niente o quasi capacità di prevenire. Una paura che attraversa la vita e accompagna ogni istante. La sorpresa orrenda e vigliacca da subire come un destino. La quiete del cuore proibita. E così via.
       Domanda: a chi pensa la gente comune - assai più intelligente di quanto spesso si asseveri - quando si parla di terrorismo? Qual è il pericolo che oggi incombe su noi italiani ed europei, dopo il marxismo reale e altro? Un pericolo da non cercare chissà dove ma anche nei nostri giorni feriali, gomito a gomito? Un pericolo che per ora si annuncia, ma che andrà ingigantendosi? Un pericolo che si ammanta spesso di citazioni pacifistiche o religiose, ma che poi si rivela intollerante e violento? Un pericolo non compatto, ma includente frange eversive? Un pericolo a cui non è lecito addossare tutte le responsabilità del male nell'universo, ma che pure non è del tutto indenne da colpe almeno oggettive? Eccetera. Non si possono ignorare i balordi che escono anche dalle nostre file e approfittano del clima di impunità che spesso trovano? Non è possibile ignorare gli alunni ritardati della guerra come levatrice della storia. A proposito: è davvero passato per sempre il pericolo del comunismo o, comunque, di una dittatura? Dopo di che, si tenti di convincere i cittadini che anche e soprattutto l'Islam non c'entra nulla con i disagi che essi avvertono. E che non hanno motivo di provare timore. Dialogo. Dialogo. E ci consegniamo con i nostri dubbi e le nostre fisime. (Analisi demografica recente di una borgata di cinquemila abitanti: dieci per cento delle famiglie e cinquanta per cento dei ragazzi delle scuole elementari immigrati quasi tutti musulmani).
       Ma perché gli italiani e altri votano esigendo un qualche ordine? Depistiamo pure la ricerca. E prendiamo coscienza di semplificazioni possibili. Ma.

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