Quando non scorrazzo per la Diocesi a motivo di visite pastorali o di ministero, talvolta mi concedo un'«ora d'aria» come la si dà ai carcerati: esco dall'episcopio e, vestito in brossura con la croce pettorale di riconoscimento, passeggio per i portici e le viuzze della città a visitare soprattutto le librerie e a controllare i prezzi della roba nelle vetrine. Osservo e saluto. Ieri l'altro scorgo, rincantucciato in un angolo, un poveretto extracomunitario che reca al collo un cartello con la scritta ben visibile per invitare i passanti a far l'elemosina: «Non sono musulmano». Penso che occorra del coraggio per dichiarare una simile estraneità a tale religione. Ma un motivo alla scritta ci deve pur essere.
       Ricordate la cagnara organizzata dalla informazione di «regime», quando un vescovo aveva osato sostenere che bisognava preferire immigrati disposti a una integrazione con la nostra cultura, lasciando nei loro Paesi di origine altri che intendevano imporre la loro mentalità e il loro comportamento, venendo tra noi? aiutandoli se necessario nel loro ambiente nativo? Non si trattava di discriminazione religiosa. Il fatto è che, nel caso dei musulmani, la loro fede e i loro precetti rivelati fanno corpo o quasi con la vita civile, con la società e lo Stato. Di chi la colpa? Io stesso - maldestramente -, tre anni fa, segnalavo, in un discorso alla città, il rischio di un'invasione islamica e accennavo a problemi che sarebbero sorti: pena di morte, diritto matrimoniale, condizione della donna ecc.
       Si può avere la memoria corta. Ma è di ieri la tiritera seconda la quale si doveva accogliere qualsiasi straniero si avvicinasse alle coste o varcasse la frontiera italiana. Senza misure. Senza preferenze. Ancor più: senza veti. Chi arrivava arrivava. Salute, fratello: sii il benvenuto.
       Poi, sbagliando, si confusero extracomunitari, soprattutto clandestini, con la criminalità organizzata e sparpagliata. Poi, ancora sbagliando, si identificarono i musulmani con i violenti o con gli intolleranti. Poi, di nuovo sbagliando, si immaginò un Islam quale dottrina unitaria e incitante alla violenza. E così via.
       Questi immigrati potevano essere fermati al loro ingresso in Italia e ricondotti al loro Paese straniero? Potevano essere invitati, ma in base a una scelta? Non si volle. Anzi, si teorizzò - abbastanza insipientemente - un'ospitalità universale da offrire. Per motivi cristiani abbastanza confusi. Forse anche per motivi politici.
       Adesso, a guerra scoppiata in America e in Afghanistan, ad armi batteriologiche usate, si è fatto un gran silenzio circa l'accoglienza indiscriminata degli extracomunitari, specialmente musulmani. Nessuno eccepisce, nemmeno gli uomini di Chiesa. Si finge di non aver detto nulla. Così, si è finito spesso con il contrastare un'identità popolare italiana. Non solo. Si è giunti anche a far del male alle stesse persone straniere che erano già state ricevute. Non è raro il caso di chi immagina l'Islam come un monolite e lo interpreta totalmente come violento e infido. Mentre questa religione non ha mediazioni tra Dio e l'uomo: non ha un'autorità dottrinale e morale, né un sacerdozio cultuale. Rimane quale rivelazione il Corano, da interpretare con la Sunna, con il dubbio criterio dell'opinione della comunità e di una fragile e incerta opinione di dotti. Dopo di che, vi possono essere islamici pacifisti - difficile - e islamici terroristi senza possibilità di smentire gli uni o gli altri. E la gente, per di più presa dalla paura, finisce col non distinguere più nessuno. Ed è agitata dal sospetto. Diviene diffidente. Forse non senza qualche straccio di motivo, in certi casi. Anche perché nell'Islam si fatica a distinguere vita religiosa e convivenza civile laica e democratica (pluralistica).
       E si è al mendicante che si difende proclamando solamente con il suo cartello: «Non sono musulmano». Quasi a dire: di me potete fidarvi. Ed è un peccato, poiché ci si dovrebbe fidare anche di islamici sereni e operosi. Dove si dimostra che anche la carità non esonera dal pensare, soprattutto quando è in gioco il destino di popoli. Da soccorrere, questi, sia chiaro: senza necessariamente tirarli in casa. E adesso facciamo ciò che riusciamo a fare.
       Possibilmente, non scardinando la nostra originalità greco-romano-giudaico-cristiano-illuministica. Anzi.

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