Technicolor intenso nella Chiesa durante i quattro giorni, conclusi ieri l'altro, di Concistoro: centocinquantacinque Cardinali riuniti in Vaticano sotto la guida del Papa. Qualche riflessione sulle cronache, le quali non danno quasi mai l'atmosfera di lieta fraternità o di contrapposizione che può crearsi dentro un ceto esclusivo come quello dei porporati.

    1. Intanto, ringraziamo Dio perché nessuno dei Cardinali ha chiesto sui due piedi le dimissioni al Papa o ha indetto una sorta di «toto-Papa» futuro non si sa bene con quale delicatezza nei confronti di Giovanni Paolo II presente. Meno male. Poiché Cardinali sfusi, in antecedenza, hanno rilasciato dichiarazioni pure a questo proposito, forse senza il buon gusto che si può avere in una casa verso il papà o il nonno, e perfino in un ufficio o in una ditta verso il dirigente da cui si dipende.



    1. E una fortuna anche che non si sia richiesto, se non da voci disperse e lasciate subito cadere, un Concilio Vaticano III. Hanno ragione i contrari: non si è ancora compreso e assimilato il Concilio Vaticano II. Forse non lo si è nemmeno letto totalmente. Festa dei documenti e della carta. Non si è ancora quasi iniziato ad attuare gli impegni assunti, ed ecco ci si affanna a stilare altri propositi. Da affidare a chi? Dico sottovoce: non mi spiacerebbe un Concilio che in otto o dieci pagine riassumesse l'insegnamento del precedente. Ma poi, quando ci si mette, una ciliegia tira l'altra. E ciò che temo è il dopo-Concilio con tutte le sue sfarfallature, più che il Concilio in se stesso. Pericolo scongiurato, per adesso.



    1. Molti interventi sulla collegialità, sulla corresponsabilità, sulla condivisione, o non so come diavolo chiamarla, del comando della Chiesa. Qui l'impressione che si avverte in superficie sembra essere la voglia di spartizione della torta dell'autorità o l'intento di sedersi su una panca un po' corta a costo di buttare giù qualcun altro. Occorre intendersi a questo proposito. Se l'autorità nella Chiesa è «servizio», il Papa assume il ruolo di Nemecsek ne «I ragazzi della via Paal»: è come l'unico soldato semplice tra graduati di alto rango. E magari pure senza il cane. Le cose stanno diversamente. Occorre mettere insieme, in un equilibrio probabilmente mai riuscito una volta per tutte, l'autorità del papa, da una parte, e, dall'altra, quella dei Vescovi uniti e sottomessi a lui. Pare giusto non considerare i Vescovi quasi fossero dei prefetti nei confronti del ministro degli Interni: i Vescovi, come successori degli Apostoli, attraverso l'Ordinazione sacramentale entrano a far parte del Collegio episcopale, il quale cuna Petro et sub Petro ha il potere e la responsabilità della Chiesa intera. Solo in un secondo momento - logico, non cronologico - il singolo Vescovo riceve l'incarico di una diocesi, rimanendo sempre unito ai fratelli. Con tutto ciò, sarebbe insipienza, oltre che distacco dalla Parola di Dio, il tentativo di attenuare l'obbligo e il «potere» della cura della Chiesa universale che il Papa ha personalmente. (Personalmente, eppur sempre tacitamente concorde con i fratelli Vescovi più in sintonia con la fede in Cristo). Sarebbe un'insipienza anche perché sembra dei tutto congruo il fatto che la Chiesa una abbia anche una autorità di cui una persona sia peculiarmente investita. E, questo, un punto di dottrina che vien invidiato ai cattolici da molti fratelli separati. Il problema non coincide con il significato deliberativo che si vorrebbe attribuire al voto sul Sinodo dei Vescovi: voto che oggi è consultivo. Da chiarire, del resto, è anche se l'incarico di Successore degli Apostoli sia delegabile o no da parte di ciascun Vescovo. Vescovo, si noti: i Cardinali eleggono il Papa, ma quando toccano argomenti che coinvolgono altri, lascino la parola anche ad altri. So bene che qui c'è tutta la questione della Curia romana, ma ritengo la si stia gonfiando ad arte. (E poi, mi suona male la risolutezza di Cardinali che - si ponga - vogliono spartire il potere papale, e poi inneggiano al coraggio del Papa quando quasi da solo questi procede nell'iniziativa del perdono da chiedere per i peccati della Chiesa).



    1. C'è pure la questione delle Conferenze episcopali nazionali utilissime pastoralmente. Ma altri documenti a valanga: si ritiene di aver compiuto un lavoro soltanto perché se ne è parlato. E quale valore normativo hanno tali Conferenze? E salvano le originalità - talvolta le genialità - dei singoli? Certi testi pubblicati dovrebbero essere come cavalli, ma finiscono con l'apparire zebre, dal momento che ogni componente vi mette la propria riga. Piattume. Lungaggini. Noia.



  1. Le cronache del Concistoro non sono state molto generose, ma nell'Aula vaticana i Cardinali - Dio li benedica - hanno parlato anche d'altro. Per esempio, hanno espresso qualche disagio nel constatare che il Concilio Vaticano II ha messo in evidenza il carattere di segno e di causa di verità e di salvezza che la Chiesa possiede, avendo in sé il Signore risorto vivo e glorioso, mentre le discussioni più accese e più prolisse e più sfilacciate del post-Concilio hanno riguardato prevalentemente le strutture. E la santità? Non è proprio la perfezione cristiana il motivo più premente della riforma della Chiesa?
    E poi. Il coraggio di parlare di Gesù Cristo a un mondo dove l'uomo sembra agisca «come se Dio non esistesse» e accontentarsi di povere letizie, di un fugace benessere, «come se Dio esistesse». Vengono tempi in cui la speranza sarà parola nuova e attesa e sconvolgente. E poi l'ecumenismo. E poi la missione. Non è, la Chiesa, una congrega che si possa ripiegare su se stessa. L'annuncio di Gesù Crito, niente di meno, che esige anche il servizio ai poveri. Un annuncio appassionato. Me lo diceva, tempo fa, un Vescovo africano: quando voi cattolici del Nord-occidente parlate di buddismo, di scintoismo, di animismo, di confucianesimo, di ebraismo e perfino di islamismo, vi mostrate raggianti nel mostrare gli aspetti positivi di queste forme religiose. Di botto diventate mesti e un poco truci quando parlate del vostro cattolicesimo e lo criticate a dritta e a manca. Chi volete che si converta? Tanto più che una cultura cristiana come la mia, giovane press'a poco di settant'anni di evangelizzazione, ha bisogno di un confronto con delle autorevolezza seducenti; gli interrogativi li possiamo trovare anche da soli, le risposte no; e il Papa per noi è un inevitabile sostegno e una felice provocazione di fede. Non stemperatene la figura.

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